Un patto di corresponsabilità per il futuro della scuola: in quali acque navigheremo?
“A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove”. Nel ciclico ritorno del tempo della scuola, questo frammento di Eraclito, anno dopo anno, può ben rappresentare la condizione in cui si trovano tutti i protagonisti e le protagoniste della vita scolastica di fronte alla ripresa settembrina. Trepidanti o spaventati, curiosi o infastiditi, carichi di progetti o a corto di idee, ma in ogni caso consapevoli di un percorso chiaro, che si apre come tutti gli anni con i primi collegi e le prime riunioni, con le prime campanelle e i primi appelli, con i primi incontri e i primi scontri, ma che sarà in ogni caso nuovo e vedrà la nota e definita scansione di giornate e calendario scorrere in maniera prevedibile, ma al contempo totalmente nuova e inedita, perché diverse sono le situazioni, le storie di ciascuno, le vicende del mondo che circonda la scuola.
Anno dopo anno si discende nel medesimo fiume della scuola, ma in acque sempre nuove.
Anno dopo anno, ma quest’anno forse non così.
Alle prese con acque nuove: verso il nuovo anno scolastico
A ogni primo di settembre mi viene spontaneo scrivere anche solo poche parole per condividere l’emozione di un nuovo inizio e per dire il mio grazie e fare il mio in bocca al lupo a chi percorrerà il corso dell’anno, dai più piccoli ai più grandi, insieme nella comune casa che è la scuola, che sappiamo essere spesso traballante e stretta, ma che resta viva e capace di far fiorire piccoli e grandi semi di crescita e cambiamento.
Quest’anno sono confusa, fatico a trovare le parole, a mettere a fuoco i significati. Ma proprio per questo credo nel valore di un testo, di uno scambio aperto con coloro che, come me, in mille modi diversi, stanno per immergersi nel corso di un fiume che sentiamo ancora capace di irrigare, rallegrare e rendere vive le terre che attraversa.
Eccoci dunque sulla riva. O forse, questa volta, risaliti alla sorgente.
Dopo che il fluire dell’acqua, nei mesi scorsi, sì è interrotto, o comunque ha cambiato strada dopo un tempo lungamente sospeso e incerto, nel quale poche sono state le certezze e forte l’attesa di una traiettoria da seguire, giunge ora il momento di immergersi nuovamente nel flusso del tempo della scuola, e con esso nella quotidianità per migliaia di persone, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, famiglie, uomini e donne di scuola che, ciascuno con il proprio ruolo, saranno protagonisti di un sfida immensa. Una sfida che, per riprendere il pensiero di Eraclito, li vedrà sicuramente alle prese con acque nuove.
Ma all’interno di quale fiume?
Il ritorno a scuola: non solo mascherine, rotelle e centimetri ma anche significati e orizzonti
Usciamo dalla pausa estiva con poche certezze, prima fra tutte la ferma dichiarazione che le scuole debbano essere riaperte e che la frequenza scolastica sia un diritto inalienabile. In che modo si definirà e concretizzerà questo diritto, però, non è ancora del tutto chiaro.
Una certezza pare esserci nella centralità della sicurezza, per chi sarà chiamato a vivere nelle mura scolastiche e, di rimbalzo, per le comunità che si trovano al di fuori delle porte e delle finestre delle scuole italiane: mascherine, banchi, rotelle e centimetri hanno dominato il dibattito estivo sulla scuola, adombrando la pur attiva riflessione, partita soprattutto dal basso, sui contenuti, i significati e gli orizzonti che dovrebbero caratterizzare la scuola alla sua riapertura.
Un primo volto del fiume in cui ci si sta per immergere, dunque, è sicuramente quello di un’istituzione che mira a essere il più possibile sicura, sanificata, protetta dal rischio di contagi. Si parte dunque da qui: su le mascherine.
Su le mascherine, in senso stretto e in senso lato, perché la cura di sé viene di pari passo con quella degli altri ed è possibile, nel rispetto delle caratteristiche dei soggetti, delle età e delle condizioni ambientali, educare grandi e piccoli a uno sforzo prezioso, che potrà essere di aiuto al benessere di tutti. Laddove questo strumento, come tutti gli altri, si riveli indispensabile, è importante accompagnare gli allievi e il personale a farsene carico responsabilmente, poiché utile, senza farsi prendere dalla leggerezza ma nemmeno dalla paura. È necessario che sia chiaro cosa è possibile, legittimo e sostenibile chiedere, in quell’equilibrio delicato tra la serenità individuale e il rispetto degli altri che deve essere insegnato fin da subito, anche ai più piccoli.
La richiesta di indossare la mascherina, se opportuna, ma anche di aiutare a ripulire lo spazio e i materiali che sono stati utilizzati, di avere pazienza nelle attese, di stare fermi al proprio posto o di essere precisi negli spostamenti, deve essere accompagnata dalla chiarezza. Sia chiaro il messaggio, così da non alimentare paura e confusione: a ciascuno di noi è chiesto uno sforzo, un sacrificio che potrà essere più o meno grande a seconda delle caratteristiche individuali, e che è importante perché risponde a una situazione particolare, di cambiamento e incertezza, nella quale dovremo sostare per un tempo non breve e per la quale è opportuno avere alcune attenzioni in più.
Il futuro della scuola: la condivisione di buone pratiche e progettualità
Su le mascherine, quindi, ma anche giù la maschera.
Giù la maschera perché non è possibile ridurre la scuola a una barriera per virus e neppure schiacciare la riflessione sul significato dell’educazione e dell’istruzione sotto il peso di un dibattito sulle sanificazioni e l’assenza di malattia.
È stato definito un alveo del fiume molto chiaro e stringente rispetto agli standard di sicurezza. Ora è indispensabile tornare a pensare alle traiettorie che percorrerà. Indispensabile e urgente, perché si è forse già fuori tempo massimo ed è imprescindibile iniziare a dare sostanza, concretezza e senso agli orizzonti che si aprono.
Per questo serve anzitutto chiarezza, a partire dalle indicazioni più ampie fino a giungere agli effettivi criteri che dovranno guidare coloro che, sul territorio e nelle scuole, si troveranno a prendere decisioni in merito alle modalità, ai tempi e agli spazi in cui il corso dell’anno scolastico si potrà sviluppare. I proclami e le indicazioni sugli standard di sicurezza non bastano più e rischiano di essere solo una bella maschera, sempre più difficile da indossare e da vedere indossata.
E per togliersi la maschera e mantenere vivo il senso di proclami e indicazioni, è urgente mettere le mani, la testa e il cuore negli spazi che tra poco torneranno ad essere abitati.
Come farlo nel migliore dei modi lo sanno già in molti tra i docenti, i dirigenti e gli operatori che, nei mesi trascorsi, si sono adoperati per garantire al meglio il diritto allo studio e alla socialità ai loro alunni e alunne.
Numerose esperienze sono state condivise e altre ancora sono risultate piccoli tesori per le scuole che hanno sperimentato una didattica che definirei di frontiera e che potrebbe ora divenire un punto di partenza, in una logica sperimentale, per ridefinire le pratiche all’interno – nelle aule e nei corridoi –, all’esterno – nel territorio –, e infine nelle case, sia che la scuola riesca a proseguire sempre in presenza, sia che ci si trovi nell’eventualità di lavorare nuovamente nella distanza fisica.
Ora come non mai diventa necessario riprendere in mano il concetto di buone pratiche e di condivisione di progettualità. Se ciascuna scuola mettesse a disposizione delle altre anche solo un’esperienza risultata significativa nei mesi scorsi, sarebbe disponibile un patrimonio preziosissimo di prassi, estendibili e consolidabili, sui temi che più hanno messo in discussione la scuola del coronavirus: dall’utilizzo intelligente dei media alla valutazione, dall’educazione all’aria aperta al dialogo fra pari, dalla valorizzazione delle competenze alla socializzazione informale.
Il patto di corresponsabilità: un nodo centrale e fragile
Non è quindi questo il luogo in cui fare proposte. Piuttosto inviterei a condividere quello che si è pensato e aggiungerei due osservazioni, più legate al senso e ai significati dell’educare, che mettono in comunicazione le tre soggettività protagoniste della vita scolastica: allievi e allieve, madri e padri, uomini e donne di scuola.
La prima riguarda il cosiddetto patto di corresponsabilità, che in numerose indicazioni sulla sicurezza è stato citato come basilare per una buona ripresa e per il buon funzionamento della vita scolastica. Anche in questo caso credo sia importante partire da quello che è stato disposto, evitando la maschera e dando spazio a un’ulteriore apertura di senso.
La richiesta di una condivisione di responsabilità tra famiglie e scuola nella prevenzione dei contagi è un passaggio decisivo e veicola un messaggio prezioso anche in termini educativi e di senso civico: le due figure che rivestono un ruolo cardine nella socializzazione delle nuove generazioni collaborano nella cura del singolo e della comunità di cui fa parte. Ma non è possibile limitare la corresponsabilità alla misurazione della febbre e al monitoraggio dei sintomi, né fermarsi all’educare alle pratiche igieniche atte ad arginare e prevenire la diffusione del virus. Questo è il primo gradino, che riguarda la salute come assenza di malattia. Il primo ciottolo del fiume, per riprendere la metafora con cui si è aperta questa riflessione.
Pensando al corso del prossimo anno scolastico, vedo nel patto di corresponsabilità un nodo centrale e fragile, su cui necessariamente le scuole devono soffermarsi a riflettere e le famiglie devono sentirsi chiamate in causa.
Nei mesi di chiusura delle scuole, ma anche in quelli successivi delle vacanze estive, madri e padri si sono trovati investiti di (o per certi versi da) un ruolo e un carico inedito, decisivo e delicato, che hanno portato avanti, per forza e per amore, così come hanno saputo, voluto e potuto, in una pluralità di condizioni di vita che ha accomunato famiglie ben attrezzate e famiglie decisamente più fragili e che, in tutti i casi, ha messo a dura prova ruoli, relazioni e capacità di sostenere le sfide.
In parallelo, maestri, professori e personale scolastico, si sono trovati a reinventare il loro lavoro entrando nei salotti, nelle cucine e nelle camere dei loro allievi e aprendo così a un’inedita e inattesa reciprocità di sguardi e narrazioni rispetto alla didattica, tra scuola e famiglia. Tale bidirezionalità, per chi ha saputo coglierla, ha senz’altro costituito una grande opportunità nella direzione dell’incontro, del dialogo e della consapevolezza dei ruoli e dei compiti rispettivi e di quelli condivisi, ma ha anche comportato un impegno relazionale molto forte e la fatica di maggiori ingerenze, della scoperta di situazioni di vita difficili di cui non si era consapevoli, del vedersi osservati e magari giudicati.
Ciò che è avvenuto non può essere ignorato; piuttosto è necessario farne tesoro per definire un patto di piena corresponsabilità, che si alimenti nel dialogo, nella condivisione delle scelte e nel rispetto dei ruoli. La scuola che verrà, per offrire didattica e spazi di socializzazione degni delle sfide che sta affrontando, non può prescindere dalla condivisione di orizzonti e responsabilità con le famiglie. Ciò sia nella temuta eventualità in cui le aule vengano nuovamente chiuse e si torni a fare scuola da casa, sia in una condizione di offerta didattica mista. Ma anche nell’auspicata possibilità di rimanere a scuola per tutto il corso dell’anno scolastico.
Il coinvolgimento delle famiglie per ridare significato ai rituali scolastici
È indispensabile che le famiglie, sia quelle dei più piccoli, sia quelle dei ragazzi e delle ragazze più grandi, abbiano chiari sin da subito tutti gli scenari possibili, e sappiano quali saranno le richieste che le riguarderanno, sia in termini di orari e calendari (in presenza e a distanza), sia in termini di contenuti, modalità di lavoro, attese nei loro confronti. Questo perché, fermo restando la differenza di ruoli, rimarrà ancora forte la sovrapposizione di funzioni (o, per contro, nelle situazioni peggiori, l’assenza di una o dell’altra parte) che si è venuta a creare nei mesi scorsi.
Oltre alla chiarezza rispetto all’organizzazione e al lavoro, è importante che vi sia un’attenzione ai significati, che andrà costruita nella consapevolezza che i tradizionali momenti e strumenti per l’incontro tra scuola e famiglie potrebbero necessitare di una rivisitazione. Le attuali indicazioni e i vincoli sulla sicurezza non permetteranno più, per esempio, di cogliere quei momenti di chiacchierata informale così preziosi per conoscersi meglio e per gestire in maniera immediata numerosi eventi della quotidianità. Anche i momenti più rituali, come le feste e le cerimonie, andranno probabilmente messi in discussione, se non tra parentesi.
Il tanto citato patto di corresponsabilità, dunque, potrebbe essere lo strumento migliore per ridare significato ai momenti informali e alle ritualità, talvolta sottovalutati o svuotati di significato, ma anche alle occasioni e ai ruoli più formali, come la documentazione, i colloqui e gli organi di rappresentanza che, adeguatamente innovati e sostenuti potrebbero diventare strumenti, occasioni e attori capaci di accompagnare e sostenere al meglio un momento delicato per tutti.
Il patto di corresponsabilità coinvolge anche loro: bambini e bambine, ragazzi e ragazze ci sveleranno il futuro della scuola
Per aprire alla seconda osservazione, il patto di corresponsabilità non dovrebbe prescindere dal coinvolgimento di coloro che si trovano al centro della scuola: bambine e bambini, ragazzi e ragazze non possono rimanere inascoltati.
È tempo di smascherare questa assenza di voce: nella progettazione della scuola ai tempi del coronavirus, sono stati quasi totalmente messi da parte le parole, i pensieri e le domande dei più di sette milioni di alunni che abiteranno le scuole, ovunque esse si troveranno. Come se non fossero allievi e studenti i primi a doversi immergere nel nuovo corso della scuola.
Cosa penseranno e cosa diranno gli alunni quando varcheranno le soglie delle loro scuole? In che modo le identità e i corpi delle generazioni in crescita abiteranno lo spazio della scuola? Come si troveranno le globalità delle loro persone in un ambiente che, descritto come sicuro, sembra sempre più svuotato dell’identità che gli è propria?
Riaprire una scuola capace di benessere e futuro, e non solo di assenza di malattia, significa trovare gli strumenti e gli spazi per dare voce e per ascoltare. Per valorizzare la globalità della persona, che è fatta di corpo, emozioni, relazioni e non può essere esaurita in un banco fermo, un computer e una registrazione di temperatura e movimenti.
Significa ricordarsi del monito di Janusz Korczak e innalzarsi fino all’altezza dei sentimenti dei più piccoli, per non ferirli.
Prima di aprire le aule, e per questo occorre fare in fretta, non si pensi solo a eliminare arredi e cartelloni, disinfettare, arieggiare e dotare di dispositivi informatici, ma si prenda in grande considerazione il punto di vista di tutti, chiedendo agli alunni che scuola si aspettano, cosa temono e cosa sperano. E agendo di conseguenza. E per i più piccoli, che con le parole fanno più fatica, si provi a mettersi in ginocchio, o sdraiati, e a guardarsi intorno, o in alto verso una maestra mascherata.
Dove la maschera sia solo quella per il virus, però. Una maschera temporanea, che copra solo una parte del volto, e non la possibilità di sognare e progettare insieme una scuola capace di futuro, un nuovo corso di acqua fresca e portatrice di stupore.
a cura di Chiara Colombo
Chiara Colombo è pedagogista, formatrice, dottore di ricerca in sociologia. Con Fiorenzo Ferrari è stata tra i primi in Italia a realizzare progetti e a scrivere di filosofia con i bambini, ideando e sperimentando un originale approccio all’esperienza filosofica quale educazione interculturale attraverso corpo, intelligenze e pensiero.
Per edizioni la meridiana, è co-autrice di “Penso dunque siamo. Percorsi e giochi di filosofia con i bambini” (2019).
Immagine: Above Below di Martin Lever