Tramonto di un’alba | Dal diario di Herat di Gholam Najafi
Essere dietro il monte Qāf
Ma essere con il cuore libero
ﺑﺎﺷﯽ ﻗﺎف ﮐوھﯽ ﭘﺷت
اﻣﺎ ﺑﺎ دل آرام ﺑﺎﺷﯽ
Per capire la società afghana bisogna sedersi davanti alle donne e ascoltare la poesia che esce dai loro canti. Sono poesie che vengono dal cuore. Seppure siano analfabete in ogni conversazione cantano poesia. Le poesie vengono tramandate oralmente, molte sono di nostalgia e a volte le donne non si ricordano un’intera riga, allora si aiutano a vicenda: una di loro inizia il verso e l’altra lo finisce. Dietro a queste poesie ci sono lacrime da versare e dolori da sopportare.
Mentre cammino vedo per strada delle bambine e sono felice, perché possono andare ancora a scuola fino al settimo anno scolastico statale. Uscite dalla scuola giocano con i loro aquiloni. I bambini rimangono a terra mentre gli aquiloni volano in alto, giocano per allenarsi con la bava di vento in vista del venerdì. Il venerdì è il giorno in cui non si va a scuola e faranno la gara con gli aquiloni; non hanno ancora per la testa i pensieri delle giovani donne o degli adulti. Le bambine ti prendono per mano e iniziano a raccontare come va la scuola, come va la vita famigliare, come va il piacere della vita… ti raccontano del loro cappello in testa o dei calzini bucati.
Le altre ragazze che si sono dovute fermare all’ottavo o al nono anno scolastico, e non hanno soldi per frequentare la scuola privata, stanno per dimenticare i loro vecchi libri e compiti da fare non ne hanno più. Va così per questa generazione sfortunata. Allora vanno a fare altri mestieri per far passare il tempo e congedarsi dalla propria gioventù. È così che il ricamo, un’arte praticata moltissimo qui in Afghanistan, diventa un mestiere per moltissime donne, con cui riescono a dar da mangiare ai loro figli a volte orfani di padre. Andando al Bazar la lana non manca mai, i fili sono là come i fili degli aquiloni tra le mani dei bambini.
Più ci si allontana da casa per andare nel centro città e più i problemi aumentano. Le famiglie sono numerose perciò tutti chiedono da mangiare e da vestirsi. Vestire tutte le bambine e i bambini sul modello di oggi è ancor più difficile, per rispettare le nuove richieste non basterebbe la montagna.
Quest’anno sembra tutto da risistemare. Oggi ho scoperto i problemi con le banche mentre ero in coda davanti alla Banca Islamica a Herat. In banca puoi trovare sia impiegati vecchi, che altri assunti da poco e saltati fuori da chissà dove, con le loro barbe appese ai muri del mento e i turbanti piegati come un fungo. Coloro che controllano la coda sono ancora degli “studenti”, in confronto ai vecchi, e non conoscono ancora bene il sistema bancario occidentalizzato; tuttavia il controllo è nelle loro mani, che Dio gli dia pietà. Molte persone che tornano in banca dopo tanti mesi trovano i loro conti correnti chiusi, perché? Perché pensavano che fossero stati uccisi o fuggiti dal paese, e in questi casi riabilitare il conto è cosa complicata, la confusione fra la vecchia e la nuova forma di burocrazia è tanta.
È complicato oggi imparare il Corano e studiare la shari’a assieme alle scienze informatiche o politiche. Ho sempre pensato che non possono funzionare insieme due tipi di modelli culturali diversi tra loro. Lo penso perché il destino umano è uguale in ogni luogo esso si manifesta.
Tornando la sera a casa, vedo dei pastori seduti sui rami grossi degli alberi per spezzare quelli più piccoli ricchi di foglie e buttarli davanti alle loro capre affamate, che faranno il latte e il burro, e alle pecore, che daranno la lana e il grasso. Le pecore afghane sono piene di grasso. Mi domando dove sia il contadino per dire due parole ai pastori che spezzano i rami senza chiedere il permesso. E perché spetta al pastore decidere il destino di quei rami?
Mentre la penna lascia il segno in altre forme affinché voi mi capiate, il mio cuore vorrebbe scrivere poesia: mi lascio scivolare dalle onde di un fiume in movimento per arrivare a un oceano fermo, immobile fin dalla sua nascita.
Ora che vado a concludere questo pezzo, compaiono le stelle in cielo e iniziano a recitare il Corano gli muezzin nelle moschee di Herat di sciiti e sunniti, annunciando l’ora della preghiera, finisce le nostra passeggiata e le bambine tornano a casa dalle loro mamme. Le bambine e i bambini che vanno a scuola questa sera sono felici perché domani sarà venerdì. Chiedo ogni giovedì sera alla mia anima che lavora con la poesia: domani ci saranno altre vittime? Gli attentatori ci sono, stanno lì in coda pronti a suicidarsi. I loro compagni li chiamano martiri, i loro cervelli sono già lavati e in attesa di andare in paradiso come i fiori dello zafferano che tra poco saranno maturi.
Gholam Najafi
Gholam Najafi è nato in Afghanistan. Ha trascorso l’infanzia lavorando come pastore e contadino. Dopo la morte del padre, all’età di dieci anni, è fuggito dal suo paese d’origine verso il Pakistan, l’Iran, la Turchia, la Grecia e infine l’Europa. Dal 2006 risiede in Italia, a Venezia, con la sua famiglia adottiva. Si è laureato in soli due anni in Lingua, cultura e società dell’Asia e dell’Africa mediterranea e si è specializzato in Lingua, economie e istituzioni dell’Asia e dell’Africa mediterranea all’Università Ca’ Foscari. Attualmente collabora con il progetto “HERA” nel contesto della migrazione, presso l’Università di Padova e si dedica a scrivere racconti e poesie sulla situazione afghana.
Nei suoi libri racconta la sua storia e la sua vita tra due culture e due famiglie. Scopri i libri di Gholam Najafi e sfoglia la sua ultima pubblicazione, Il sorriso di Melograno.
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Foto: Gholam Najafi