Tornare a scuola senza tornare indietro: cambiare gli ambienti di apprendimento
Le affermazioni che la Ministra Azzolina ha fatto in merito al tornare a scuola, nell’intervista fatta da Maria Latella, in cui ipotizza che a settembre si potranno prevedere forme di didattica mista, metà in presenza e metà a casa, non sembrano andare verso una innovazione reale della scuola. Pare una toppa messa su un buco, che diventa peggio del buco stesso. Inoltre, poiché viene ipotizzata la didattica a distanza, se per la scuola secondaria dal punto di vista organizzativo (e solo da questo punto di vista) può funzionare, nella scuola primaria non è pensabile.
Infatti, c’è da chiedersi chi starà con i bambini, perché ovviamente i genitori devono rientrare al lavoro; e se potrebbe sembrare una soluzione per la scuola secondaria di primo e secondo grado, nemmeno in questo caso i minori possono essere lasciati a casa da soli. Però c’è da tener conto che, se nella scuola primaria essendoci due insegnanti per classe che hanno 24 ore diventa più semplice la divisione dei gruppi classe, l’aspetto problematico è il reperimento degli spazi.
Non solo spazi, tempi, curricolo, docenti e famiglie: le tante questioni
Riprendendo alcune proposte di Alessandra Cenerini, presidente ADi (Associazione Docenti e Dirigenti scolastici italiani), e proposte del Rapporto “Scuole aperte, società protetta”, altri modi per organizzare la scuola ci sono.
Certo, richiedono un’attenta organizzazione non solo territoriale o nazionale, come suggerisce Bertagna, ma anche all’interno delle singole scuole con una programmazione molto stretta tra i docenti, in un’ottica però di rete allargata.
Ci sono molte questioni di cui tener conto per quanto riguarda la riapertura delle scuole: la sanificazione degli edifici, gli spazi educativi, i tempi, gli insegnanti, le famiglie degli studenti e i curricoli. Ognuno di questi aspetti è correlato e non disgiunto dagli altri. La semplicistica soluzione che ha proposto la Ministra non va certo nella direzione di una scuola di qualità, anche perché dividendo, molto banalmente, la classe a metà, la domanda che sorge è: ma i gruppi di studenti che stanno a casa e che si alternano alla didattica in classe avranno sempre la stessa composizione? Ovviamente, in aule di circa 50-55 m2 è impossibile accogliere circa 28-30 studenti, ma anche “solo” 15, tenendo conto del distanziamento sociale previsto. Se i due gruppi restano sempre gli stessi, si creano due sottogruppi di studenti; vero che si alternano nelle due modalità e, quindi, sono tutti presenti contemporaneamente, chi in presenza chi virtualmente, ma non saranno più la stessa classe. Certo, si può ovviare mescolando i gruppi, ma resta sempre una soluzione di ripiego. Inoltre, la Ministra non ha fatto nessun cenno agli spazi scolastici.
La maggior parte delle scuole sono in cattive condizioni di manutenzione e una riflessione su come ristrutturarle e modificare gli spazi va fatta assolutamente, soprattutto in vista della profonda sanificazione indispensabile per rendere sicure le scuole: la chiusura delle scuole è un’occasione unica. I fondi per ristrutturarle, oltre a quelli già stanziati, vanno trovati. Scuole fatiscenti e sporche non fanno star bene gli studenti, degrado chiama altro degrado e un Paese che trascura la scuola, anche sotto il profilo degli spazi fisici, non dà la giusta dignità agli studenti. L’idea che ne deriva è quella di una scuola abbandonata a se stessa, poco attraente e quasi inutile.
Ci vuole anche un’alleanza con le famiglie, per creare una visione condivisa, mettendo al centro i bambini e le bambine e i ragazzi e le ragazze. Il ruolo delle famiglie in questa situazione è fondamentale perché devono essere alleate e co-protagoniste di un cambiamento.
Tornare a scuola con una nuova visione: la didattica diffusa
Serve un nuovo approccio: bisogna essere visionari e cambiare davvero il modo e i tempi di fare scuola. Ci sono altre possibilità per non dover ricorrere a una didattica metà in presenza e metà DaD.
Gli spazi e le aule delle scuole non bastano ovviamente per tutti gli studenti, se suddivisi in gruppi più piccoli, allora perché non pensare ad una nuova organizzazione degli spazi di apprendimento?
Il “dove imparare” non è importante, lo sono le esperienze di apprendimento che si fanno e che non possono essere limitate a metà classe in DaD e metà classe in presenza. Ci sono alcune riflessioni e proposte che possono essere prese in considerazione, che, certo, richiedono impegno e una perfetta organizzazione, ma potrebbero aumentare la qualità dell’apprendimento e supportare, se non risolvere del tutto, la situazione delle scuole. Ovviamente bisogna calibrarle secondo il grado scolastico.
La direzione è quella di una didattica di “Educazione diffusa” (Campagnoli, Mottana) sul territorio in luoghi alternativi alla scuola, di una “Scuola fuori dalla scuola” (De Bartolomeis), individuando luoghi e risorse disponibili sul territorio, in un’ottica inclusiva, senza dimenticare gli alunni e gli studenti con disabilità che molto spesso sono i più penalizzati dalla DaD e dalla separazione sociale.
All’Ørestad Gymnasium di Copenhagen, già da quando è stato progettato, non ci sono aule a sufficienza per tutti gli alunni; è vero, ci sono spazi ampi, essendo anche una scuola open space, ma la loro attività didattica si svolge anche sul territorio. Vengono infatti programmate attività in vari luoghi cittadini, luoghi collegati ai curricoli del percorso scolastico e le lezioni si possono svolgere in aziende, in teatri, in musei, ecc. Certo, tutto deve essere attentamente programmato dai docenti, calibrato secondo il grado scolastico e anche in relazione alle reali situazioni delle famiglie e delle rispettive risorse, anche in termini di possesso di dispositivi elettronici e linea internet.
Come intervenire sugli ambienti di apprendimento?
La didattica deve ripartire su basi nuove, serve un “piano territoriale” per la riapertura, in modo che possano essere trovate nuove occasioni di apprendimento anche in altri luoghi e all’aria aperta, quando le condizioni atmosferiche lo permettano, facendo attività che non si fanno a scuola. Bisogna modificare la ritualità scolastica, ma non solo.
Sono necessari:
- Ricognizione e mappatura degli spazi delle scuole e degli spazi nel territorio: prima di tutto serve una ricognizione negli spazi scolastici con relativa mappatura delle aree “inutilizzate” o sotto-utilizzate, anche in relazione ai flussi delle persone. Successivamente, serve fare lo stesso per individuare sul territorio sia gli spazi “culturali”, sia gli spazi vuoti che e potrebbero essere utilizzati, ad esempio, per quanto riguarda il Comune di Milano: le sale del Castello, i Musei Civici, anche chiedendo la collaborazione di altri Musei statali, gli spazi delle Fiere, le sale dei Consigli di zona, le biblioteche in cui molto spesso sono presenti, come nei musei, delle sezioni didattiche, gli oratori e perché no, anche le chiese, che nel Medioevo erano luoghi di apprendimento. È necessario creare una rete tra le scuole e i luoghi individuati. Per le piccole scuole isolate in paesi montani, la didattica diffusa può avvenire negli spazi previsti per la comunità o in luoghi in cui si svolgono attività tipiche della zona. Bisognerebbe però mantenere un’ottica di prossimità territoriale alle scuole, per quanto possibile.
- Ricognizione delle risorse umane: individuare all’interno dei servizi tutte le risorse disponibili, per competenze acquisite o anche per percorsi di studi effettuati, a diventare educatori o docenti (molti sono i dipendenti del Comune di Milano con elevate competenze educative o didattiche destinati a svolgere lavori d’ufficio, di cui già alcuni erano stati trasferiti in passato) con una formazione estiva.
- Ricognizione dei servizi educativi: ci sono servizi educativi nel Comune di Milano, come ad esempio le Sezioni didattiche o le case vacanze, come sicuramente anche in altri comuni italiani, che hanno personale educativo che può essere utilizzato, così come possono essere utilizzate le strutture, in un’ottica solidaristica.
- Spazi esterni/cortili: alcune scuole presentano spazi esterni o cortili, in alcuni dei quali possono essere realizzati dei padiglioni, riscaldati in inverno, utilizzabili per varie attività.
- Aziende: per la secondaria di secondo grado, potrebbe essere considerata la possibilità di far “fare lezione” a piccoli gruppi di studenti in alcune aziende affini al percorso formativo e all’indirizzo di studio della scuola, attraverso una progettazione collaborativa e sinergica tra l’azienda e i docenti, collegata agli apprendimenti di indirizzo, come avviene appunto all’Ørestad Gymnasium di Copenhagen, ma anche ad esperienze già progettate in varie scuole in Italia seguendo le indicazioni del “Manifesto dell’educazione diffusa” (Mottana, Campagnolil 2017).
- Terzo settore: si può chiedere alle cooperative che già hanno l’accreditamento di mettere a disposizione il loro personale e i loro spazi, come in molti progetti già messi in atto.
- Figure tutor/mentori/leadership intermedia: c’è anche la necessità di figure di insegnamento più complesse che possano fungere da organizzatori, e altre figure da guida, quasi dei mentori, oltre che figure di leadership intermedie che possano coadiuvare la programmazione e tenere i contatti di rete. Una proposta di questo tipo chiama alle proprie responsabilità non solo il Ministero, ma anche le regioni e i comuni.
- Aspetti medico-sanitari: non si può non tener conto che comunque il virus continua ad essere in circolo e, di conseguenza, bisognerebbe quindi prevedere un presidio sanitario in prossimità territoriale, che possa intervenire in tempi rapidi (Blyth e Velissaratou), per Istituto omnicomprensivo o almeno nelle Asl, totalmente dedicato a situazioni emergenziali per le scuole. Nel nostro Paese, in passato, per molti anni è stato presente il medico scolastico una volta la settimana e un’infermiera per tutta la durata dell’orario scolastico; erano i tempi in cui girava ancora la tubercolosi, i vaccini venivano somministrati a scuola ed era presente uno stretto monitoraggio delle malattie. Oggi sarebbe opportuno rispristinare questo servizio per dare le indicazioni di comportamento e in qualità di presidio rassicurante.
- Ridefinizione dei curricoli: c’è poi la necessità di rivedere i curricoli, per diminuire il monte ore, riducendoli e individuando le conoscenze irrinunciabili, in modo che sia possibile, anche assumendo dei nuovi docenti – aspetto irrinunciabile – creare gruppi classe piccoli e stabili in presenza. È vero che il curricolo essenziale e la co-progettazione per nuclei tematici doveva essere fatta dal 2012, ma è necessaria una riduzione dell’orario.
- Formazione dei docenti: diventa urgente proporre una formazione per i docenti, perché molti hanno difficoltà ad individuare metodologie diverse di insegnamento. In questa situazione deve essere superata la modalità tradizionale e c’è la necessità di imparare a co-progettare percorsi di apprendimento alternativi e inclusivi.
- Inclusione: fondamentale pensare a come includere tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze con disabilità, con bisogni educativi speciali o in difficoltà economiche o sociali, in modo che questa situazione non porti ad una maggiore esclusione. Pertanto, in tutti i percorsi progettati ci sarà la necessità di fare molta attenzione a non creare nuove situazioni di difficoltà, disagio o vera e propria emarginazione.
Le necessità per tornare a scuola: non si può far finta di niente
Per concludere un aspetto va tenuto presente: non si può far finta di niente. Riprendendo le parole del saggio di Yong Zhao, “Il tofu non è un formaggio”
“l’educazione online non può sostituire tutte le funzioni che le scuole svolgono nella nostra società, ma si può fare molto di più affinché non sia una versione marginale e minoritaria dell’istruzione in presenza.”
Però, non si può nemmeno alternarla solo alla didattica in presenza con il rischio di tornare alla classica lezione trasmissiva. La proposta di una educazione diffusa e il ripensamento di ciò che vale la pena di essere insegnato sono due aspetti da tenere in considerazione.
Una riflessione sorge spontanea, consolidata da ciò che molti studiosi e insegnanti postano e scrivono. L’impressione è quella di una separazione tra un gruppo di insegnanti e dirigenti che vede nella crisi, seppur con tutti gli aspetti negativi che ci sono, una grande opportunità di rinnovamento e di cambiamento, un modo per far volgere al positivo ciò che positivo non è. Un gruppo di dirigenti e di docenti che si è attivato per inventare e sperimentare “nuovi modi per fare scuola” e per coinvolgere gli studenti, che nella maggior parte hanno risposto positivamente a questa situazione. C’è poi un gruppo silenzioso (non si sa quanto grande sia) che non si dichiara, che si è adeguato di malavoglia a questa nuova modalità online di fare lezione, oppure che non si è adeguato affatto, nonostante la nostra ministra Azzolina abbia reso obbligatoria la DaD, e che non vede l’ora di tornare a fare la sua solita lezione, magari riciclando materiali che già usa da anni. Ma sta proprio qui la differenza tra persone visionarie e innovatrici e chi invece non riesce a scrollarsi una visione ormai superata e obsoleta della nostra scuola. Non si può e non si deve tornare indietro. Certo non è semplice né immediato, ma c’è chi si è preparato per tempo, chi si è impegnato molto e con lungimiranza senza pensare che questo investimento sarebbe poi stato fondamentale e necessario.
Mi viene in mente quella vignetta molto significativa in cui quando ci sono dei problemi c’è un gruppo di persone che tenta di risolverli, un gruppo che ne parla e si lascia trascinare e un gruppo, invece, che continua a creare difficoltà o a mettere ostacoli. Ecco, ora sarebbe opportuno che chi intralcia o tira indietro e frena si mettesse ad aiutare a spingere e a supportare chi vuole innovare e creare nuove opportunità. Ovviamente, chi non si è preparato non solo farà fatica a stare al passo, ma soprattutto perderà il contatto con gli studenti abituati ad utilizzare la tecnologia. Certo, non bisogna dimenticare che purtroppo questa situazione crea molte disuguaglianze tra chi non possiede un pc, smartphone o tablet e non ha accesso alla rete.
Infine, come commento finale, i bambini e i ragazzi che hanno famiglie in difficoltà e gli studenti con disabilità dovrebbero essere aiutati e messi nelle condizioni di poter fruire di tutte le opportunità, in modo da non restare indietro e di non vivere deprivati di ciò che altri loro coetanei hanno la fortuna di avere a disposizione.
a cura di Mariagrazia Marcarini
Mariagrazia Marcarini è pedagogista e geometra, con un PhD in Formazione della persona e mercato del lavoro all’Università degli Studi di Bergamo. Collabora alla cattedra di Pedagogia Speciale presso la medesima università e svolge un ruolo educativo e pedagogico presso il Polo Scolastico Manzoni del Comune di Milano. È responsabile dell’Area strategica “Architettura scolastica” dell’ADi (Associazione Docenti e Dirigenti scolastici italiani).
Per idee, suggerimenti e proposte per un nuovo modo di fare didattica, sfoglia i nostri libri dedicati alla scuola e all’educazione.
Immagine: la foto (fonte) rappresenta la scultura posta all’ingresso dell’Istituto Superiore “Don Milani” di Brescia, recentemente ristrutturato all’insegna della sostenibilità ambientale e dell’apertura della scuola verso il territorio. Per saperne di più clicca qui.