Riciclare i rifiuti: quanto è importante?
Sosteneva Mahatma Gandhi che ognuno “dovrebbe essere spazzino di se stesso”. Se veramente fosse ciascuno di noi a doversene fare carico, tutti quanti minimizzeremmo i nostri scarti.
Infatti, la spazzatura non sparisce soltanto perché non la vediamo più nel cassonetto sotto casa. Ci sono discariche e inceneritori che compromettono la salute di aria, acqua e suolo; ci sono materie prime sottratte al nostro pianeta che non ritorneranno mai più in ciclo; ci sono costi di smaltimento molto elevati. Il nostro stile di vita usa-e-getta ci sta facendo consumare più risorse di quante il pianeta riesca a ripristinarne nell’arco di un anno. Il 29 luglio 2019 è stato l’Overshoot Day, ovvero la data in cui l’umanità ha consumato tutta la produzione annua rinnovabile, dalle foreste ai pesci. Ciò significa che, fino a fine anno, intaccheremo il capitale planetario attingendo a risorse non più rinnovabili e di cui saranno private le generazioni future. L’ultima volta che la popolazione umana, allora 3,5 miliardi contro i 7,3 attuali, riuscì a mantenere i propri consumi all’interno degli interessi annui prodotti dalla natura fu nel 1970. Di qui a poco le generazioni future non avranno più di che vivere.
Di recente, ha fatto il giro del web la sorprendente notizia che sulla spiaggia del Somerset, nel Regno Unito, una bottiglia di plastica è rimasta in balia delle onde per almeno 47 anni. Il marchio e il prezzo, pari a 4d, ovvero quattro penny, mostrano infatti che è stata venduta prima che la Gran Bretagna cambiasse la valuta decimale, ovvero prima del 1971. Purtroppo secondo François Galgani, biologo di IFREMER (Institut Français de Recherche pour l’Exploitation de la Mer), solo 300.000 tonnellate di rifiuti vengono portate in superficie, appena l’1% del totale. Questo vuol dire che il 99% dei rifiuti si accumula sul fondo del mare.
Il problema della plastica
Importante passo avanti per la riduzione dei rifiuti di plastica è quello raggiunto nel luglio 2019 con l’approvazione della direttiva europea che vieta nell’UE prodotti di plastica monouso entro il 2021: “ridurrà il danno ambientale di 22 miliardi di euro, il costo stimato dall’inquinamento di plastica in Europa fino al 2030” ha dichiarato la relatrice belga Frederique Ries (ALDE). L’accordo rafforza inoltre l’applicazione del principio “chi inquina paga”, introducendo una responsabilità per i produttori. Questo nuovo regime si applicherà per esempio ai filtri di sigaretta dispersi nell’ambiente e agli attrezzi da pesca dispersi in mare, per garantire che i produttori sostengano il costo della raccolta.
La svolta dell’UE arriva in concomitanza del bando cinese che dal 2018 vieta l’importazione di 32 tipi di plastica differenti. La Cina, infatti, da sola importava circa il 42% degli scarti di plastica dell’UE (e il 70% a livello globale) e si dedicava a varie attività di selezione manuale dei rifiuti. Ciò, però, con due problemi: i lavoratori erano sottopagati e tutto il materiale di scarto e senza valore restava in Cina, finendo per aumentare il volume delle discariche locali. A testimoniarlo anche le immagini scattate da Lu Guang, fotografo cinese scomparso lo scorso novembre dopo aver avuto il coraggio di puntare il suo obiettivo sulle reali condizioni di certe zone della Cina, dove le conseguenze dell’inquinamento provocano gravi danni sulle salute delle persone.
In Europa infatti si ricicla soltanto il 30% dei rifiuti plastici provenienti dalla raccolta differenziata perché mancano le strutture, le tecnologie e le risorse finanziarie adeguate: una bottiglia di plastica in PET è facilmente riciclabile, ma un vassoio di prosciutto è composto da più plastiche incollate insieme, che, per essere riciclate, devono prima essere separate. “Quello che va capito” sostiene Arnaud Brunet, direttore del Bureau of International Recycling, “è che in realtà non ci stiamo liberando dei nostri rifiuti, ma li stiamo vendendo”.
La filiera del riciclo: dove vanno a finire i rifiuti italiani?
La domanda allora è: chi acquista i rifiuti italiani? Fino a gennaio 2018 quasi un rifiuto di plastica su 2 era esportato a impianti cinesi, in quanto scarto della raccolta differenziata della plastica. Claudia Silvestrin, direttrice di Polieco, il consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene, spiega perché: “In Italia si premia la quantità e non la qualità della raccolta differenziata. Possiamo anche raggiungere il 90% di raccolta differenziata, ma all’atto pratico si tratta spesso di plastica di bassa qualità, tanto che di quella raccolta posso avere più del 30% di materiali eterogenei di plastica da scartare”. Questi scarti, prima, “si spedivano in Cina in impianti fatiscenti, spesso inesistenti, e ancor più spesso privi dei sistemi di sanificazione e di lavaggio”. Il risultato? Container pieni di plastica spediti dall’Italia alla Cina, che poi tornavano indietro in Europa sotto forma di oggetti (giocattoli, contenitori, perfino biberon per neonati) realizzati con plastica contaminata.
Si legge nel rapporto di Greenpeace “Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plastica” che al momento i rifiuti di plastica italiani vengono esportati verso Malesia, Turchia, Vietnam, Thailandia e Yemen, Paesi non dotati di un sistema di recupero e riciclo efficienti.
Nonostante il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006 n.1013 stabilisca che i rifiuti che escono dall’Europa possono essere esportati solo in Paesi in cui saranno trattati secondo norme equivalenti a quelle europee in merito al rispetto dell’ambiente e della salute umana, tali requisiti mancano a questi Paesi che di fatto stanno sostituendo il ruolo precedentemente affidato alla Cina.
Inoltre quando il container italiano non va direttamente in Malesia o in Vietnam avvengono una serie di triangolazioni tra Stati europei (come Romania e Slovenia) che fanno comunque giungere il carico in Asia, alimentando il traffico illecito di rifiuti.
Il giro d’affari legato ai rifiuti è enorme. Joachim Schellnhuber, fondatore e ora direttore emerito del Potsdam Climate Institute, ha dichiarato che “i migliori scienziati climatici concordano: i politici hanno 18 mesi per invertire la rotta del cambiamento climatico”. Probabilmente il vero male risiede nel circolo vizioso che si instaura tra crescita economica e aumento delle emissioni climalteranti: l’ossessiva ricerca del segno + davanti al prodotto interno lordo sembra essere l’unico obiettivo per il futuro, tutto il resto è secondario.
Buone pratiche per riciclare i rifiuti e gestire gli scarti
Eppure in Italia ci sono molti casi di buone pratiche e buone tecnologie di riciclo già applicate con risultati economici e ambientali nei principali settori degli imballaggi (legno, carta, vetro), della plastica, della gomma, dei rifiuti inerti, degli oli esausti, ecc. A partire da pagina 251 del rapporto annuale “L’Italia del Riciclo 2018”, realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e FISE UNICIRCULAR, si raccolgono e segnalano diverse di queste realtà. Per esempio:
- Verallia Italia (Lonigo, VI) produce bottiglie con l’80% di vetro riciclato, attraverso una procedura che permette di risparmiare sulle materie prime e sulle emissioni di CO2.
- Ecoplasteam (Alessandria) guida il progetto EcoAllene™, che dà nome ad un nuovo materiale plastico ecologico e con grandissima varietà di utilizzi ottenuto dal riciclo del tetrapak e di plastiche altrimenti destinate a incenerimento e discarica.
- ESO Società Benefit (Opera, MI) ricicla materiale sportivo, come scarpe, palline da tennis, camere d’aria e copertoni di biciclette, producendo nuova materia prima donata gratuitamente alle amministrazioni pubbliche per la realizzazione di opere pubbliche a tema sportivo.
- La Cooperativa Sociale “Felici da Matti” (Roccella Jonica, RC) raccoglie olio vegetale esausto per utilizzarlo nella realizzazione di una linea di detergenti ecologici per la pulizia della casa e del bucato.
- La Cooperativa Sociale Quid (Verona), impiegando donne disabili o con problemi di emarginazione sociale, ha creato un marchio di moda nato dal riciclo di tessuti di recupero, dando vita a collezioni limitate, esclusive e a bassissimo impatto ambientale.
- Fater Smart (Pescara) ha dato vita al primo impianto per il riciclo degli assorbenti per la persona: da 1 tonnellata di rifiuti raccolti in maniera differenziata ricava 150kg di cellulosa, 75kg di plastica e 75kg di polimero super assorbente per dare vita a nuovi prodotti.
I rifiuti tecnologici (detti RAEE, Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) sono probabilmente i più difficili da smaltire. Eppure si tratta di apparecchiature che si trovano in tutte le nostre case: lampadine, radio, telefoni cellulari e fissi, consolle di gioco, chiavette USB, computer, elettrodomestici e così via, includendo all’incirca tutto ciò che è alimentato da corrente elettrica o batterie. È importante, dunque, che ognuno di noi sappia come comportarsi quando decide di liberarsi di uno di questi oggetti. Ad esempio, non vanno confusi con gli altri rifiuti, gettandoli magari nel sacco nero dell’indifferenziato, ma raccolti da parte e consegnati nelle isole ecologiche comunali, dove possono essere smaltiti correttamente, con il vantaggio di recuperare materie prime da utilizzare in nuove produzioni. A questo link troverete maggiori informazioni e consigli utili per la gestione dei RAEE.
Per concludere, una citazione di Mark Victor Hansen da tenere ben a mente: “La spazzatura è una grande risorsa nel posto sbagliato a cui manca l’immaginazione di qualcuno perché venga riciclata a beneficio di tutti.”
Ilaria D’Aprile, laureata in Scienze Forestali e Ambientali presso l’Università di Bari e con Master in Educazione Ambientale per la promozione di uno sviluppo sostenibile presso l’Università di Bologna, è esperta in educazione alla sostenibilità e realizza progetti di formazione per insegnanti e studenti curiosi. Con edizioni la meridiana ha pubblicato “Abbecedario verde. Salvare la Terra partendo dalla scuola” (2011) e “Apprendere con gioia. Outdoor Education nei cortili scolastici” (2020).
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