Progettare il prossimo anno scolastico: e se tutto dovesse ripetersi?
Che accadrebbe se, una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta – e tu con essa, granello di polvere dalla polvere venuto!». Questa la provocazione di Friedrich Nietzsche con cui io e Fiorenzo Ferrari abbiamo spesso giocato assieme a bambini e ragazzi nel pensare allo scorrere del tempo, questa la proposta di pratica filosofica con cui molte volte abbiamo concluso l’anno scolastico con i docenti che abbiamo avuto modo di incontrare nelle nostre formazioni.
La provocazione del demone di Nietzsche è accompagnata da un lavoro di ricostruzione della linea del tempo di un anno di lavoro appena trascorso e porta a interrogarsi di fronte al dubbio di un eterno ritorno di ciò che è stato, consapevole o inconsapevole.
Siamo alla conclusione di quello che forse è stato l’anno scolastico più inatteso e particolare della storia della scuola italiana, e la provocazione del filosofo tedesco assume un significato ancora più forte, perché si pone del bel mezzo di un tempo sospeso, dilatato e incerto, che volge alla sua chiusura e che ci trova del tutto confusi e smarriti rispetto alla sua ripartenza.
Partire dal ringraziare chi si è preso cura della scuola
Nell’arco di pochi giorni, prima le scuole primarie e secondarie e poi le scuole dell’infanzia, caleranno il sipario (le porte non le potranno chiudere dal momento che da lungo tempo non si stanno più aprendo) su un cammino che ha comportato, per tutti coloro che animano la quotidianità della vita scolastica, enormi fatiche, grandi sfide, potenti domande.
È bello pensare al sipario, perché, quando un’opera teatrale finisce, tutti coloro che ne sono stati protagonisti escono dalla parete di fondo della scena a raccogliere negli sguardi e negli applausi il frutto del loro lavoro. Ecco, in questo momento di passaggio mi piace pensare che il primo gesto da fare sia quello di applaudire e ringraziare tutti coloro che nell’arco di questo anno scolastico si sono presi cura della scuola e hanno compiuto sforzi immensi per traghettare verso la migliore delle conclusioni possibili il loro mondo, attraversando la tempesta della pandemia e le secche di un’assenza di direzione, chiarezza, riconoscimento.
Vengano avanti tutti i docenti che hanno completamente ripensato il loro modo di stare in classe, cercando di mantenere vive, nell’assenza e nella distanza, la motivazione allo studio, la relazione con gli altri, la passione per la cultura, vengano avanti i dirigenti, il personale scolastico, i collaboratori, gli specialisti, che hanno rideclinato il loro servizio per mantenere in piedi il ponte tra scuola e società, vengano avanti le famiglie, che si sono fatte carico della quotidiana fatica del vuoto, della distanza, della chiusura, trasformando i loro ruoli per sostenere i propri figli e le proprie figlie. Vengano avanti, ultimi perché primi, alunni e alunne, studentesse e studenti, che sono entrati a settembre, con gioia o con noia, dalle porte di una scuola che, nel bene o nel male, conoscevano e che di punto in bianco se la sono vista portare via e diventare sconosciuta, in nome di un bene più grande e prezioso, e che non hanno potuto averla indietro nemmeno ora che molti altri beni, materiali e immateriali, sono stati restituiti alle generazioni più grandi.
Vengano avanti non per raccogliere applausi vuoti e retorici, ma per trovare lo sguardo di gratitudine, stima e riconoscimento che è doveroso che il nostro Paese tributi a tutti loro, come ha già saputo fare, ad esempio, con chi ha gestito la sfida della malattia tra le corsie degli ospedali o per le strade delle nostre città e dei nostri paesi, improvvisamente vuote e silenziose.
E dopo essere venuti avanti, restino lì, con le loro linee del tempo in mano, ciascuna diversa nel suo iniziare e nel suo evolvere, e mettano di fronte ai nostri occhi e nel bel mezzo dei nostri pensieri la domanda di Nietzsche, che in tanti di loro in questi giorni si stanno ponendo: e se tutto dovesse ripetersi?
La circolarità del tempo: progettare il prossimo anno scolastico
La circolarità e la ciclicità del tempo e dei tempi della vita hanno in sé un potenziale prezioso quando si accompagnano alla consapevolezza. È questo il pensiero che spesso ricorre come prima risposta alla provocazione del demone. Fare tesoro di quello che è stato, per poter magari ripetere, ma non paralizzarsi in un ritorno senza prospettive.
Da questa consapevolezza ripartano il pensiero e lo sguardo sulla scuola, perché il tempo non resti sospeso.
L’ascolto e l’osservazione di tutti i protagonisti di questo mondo ha tanto da offrire. Il tempo che ci separa dalla ripresa di settembre sia occasione per dedicarsi proprio a questo, aprendo un dialogo onesto, trasparente e paritario tra competenze diverse. Nella chiarezza delle regole e dei vincoli legati a sicurezza e responsabilità, venga data ai professionisti della scuola e a chi si occupa di scienze umane la medesima voce che è data ai professionisti della salute e a chi si occupa di scienze mediche, perché è solo così che si può pensare una scuola che non è riducibile a un posizionamento di banchi e coperture di plexiglass e perché anche sul mero posizionamento di banchi e barriere si può ragionare in termini educativi e didattici, se ciascuno ha l’onestà di riconoscere il proprio pezzo di competenza e quello altrui.
La concretezza della progettazione del prossimo anno scolastico venga consentita a chi la conosce veramente, a chi la vive tutti i giorni, a chi è chiamato ad animarla. E questo avvenga mettendo a disposizione le giuste risorse, perché la scuola non è solo una dotazione digitale o un elenco di cattedre da riempire. Il tempo dell’estate, oltre a momento di meritato riposo, diventi occasione per fermarsi a progettare la scuola che verrà, basandosi su linee guida chiare e sostenibili, appoggiandosi ad adeguate supervisioni pedagogiche, dando voce al pensiero e alle domande di docenti, allievi, famiglie e territori. E mettendo in dialogo tutti questi punti di vista a partire dalle numerose e pregevoli sperimentazioni che ormai da anni stanno trasformando in meglio parte della scuola pubblica italiana e che affondano le loro radici in quel pensiero pedagogico che è nato nel nostro Paese e che tutto il mondo ci riconosce.
Possa la ripartenza della scuola ricordarsi dei cento linguaggi di cui i bambini, ma anche i ragazzi sono portatori: non si pianifichino aule e attività che, riprendendo Malaguzzi, stacchino la testa dal corpo, ma si tenga ben ferma la consapevolezza che alunni e studenti sono persone da accompagnare alla crescita e all’apprendimento con uno sguardo globale, che tenga conto del fatto che i pensieri sono incorporati, legati all’esperienza, calati nelle relazioni. Perché la scuola funzioni servono i concetti e le spiegazioni, ma anche il contatto, le corse, le risate, il sudore, le ginocchia sbucciate e i baci rubati all’intervallo. Serve il corpo.
Dietro il virtuale, il reale: tornare al corpo
La svolta impressa attraverso la forzata e accelerata introduzione del digitale non offuschi la centralità di corpi e contatto fisico e diventi occasione di crescita per la scuola, accompagnando a cogliere il potenziale di questi strumenti, senza travalicare dalle loro possibilità e senza negare il loro limite. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di offrire una piattaforma digitale pubblica, progettata su misura della scuola, libera da interessi commerciali. E si continui a pensare al reale che sta dietro, e davanti, al virtuale e che non può venirne schiacciato. Nessuna macchina potrà mai sostituire l’abbraccio di una maestra, l’odore di un corridoio e neppure un brutto sgambetto di un compagno. La scuola non venga appiattita sulla didattica, che è solo un pezzo, se pure estremamente prezioso, di una scolarizzazione fatta anche di socialità, di equilibrio tra formale e informale, di rituali.
Il pensiero per il tempo che verrà non neghi i problemi che caratterizzano da troppo tempo la vita tra le aule di scuola. L’emergenza della pandemia ha chiesto uno sforzo immenso a una scuola duramente provata da tagli di risorse, scarsa formazione del personale, minimo investimento in innovazione e questo si è reso evidente nelle grandi disparità tra le varie offerte didattiche tra paese e paese, se non addirittura tra classe e classe del medesimo istituto.
Ma ha anche visto un gran numero di docenti, personale amministrativo e dirigenti rimboccarsi le maniche e dare il massimo per bambini e ragazzi. La progettazione del prossimo anno scolastico parta dalla consapevolezza dei limiti in cui la scuola è oggi costretta e dia valore alla collegialità, perché lo slancio al miglioramento che ha caratterizzato molti prosegua in uno stile comune, senza dare spazio a confronti, giudizi, accuse di voler primeggiare sugli altri o di asservirsi allo status quo.
Il legame tra scuola e famiglia
Resti vivo e venga approfondito il legame tra la scuola e le famiglie. La didattica nella distanza, per riprendere la metafora del teatro, ha rotto la quarta parete tra questi due mondi, che si sono osservati a vicenda, nel bene e nel male, e che hanno necessariamente dovuto fare i conti l’uno con l’altro. Questa apertura è preziosa e potenzialmente molto fertile, ma necessita di essere accompagnata, alimentata e progettata, pena il rischio di diventare contrapposizione, ingerenza, critica reciproca. Le fatiche dei genitori, ma anche l’aumento della loro consapevolezza rispetto alle funzioni e ai lessici della scuola, entrino nei contenuti di una progettazione didattica che tenga anche conto del fatto che chiudere esclusivamente all’interno delle mura domestiche gli spazi e le occasioni di apprendimento e di relazione è limitante e pericoloso per tutti, sia che si tratti di piccolissimi, sia che si tratti di adolescenti e giovani.
Non si renda necessario, nel progettare la ripresa della scuola, il bisogno di appellarsi alla pur preziosa e generativa disobbedienza civile, ma vi siano chiarezza ed ascolto, in modo che le famiglie e le istituzioni deputate a insegnare il valore di cittadinanza, democrazia e legalità non si trovino schiacciate da norme confuse, o, peggio, irrispettose di chi abita la scuola, ma piuttosto abbiano gli strumenti migliori per accompagnare le giovani generazioni a scoprire il senso di vincoli e leggi come beni comuni su cui poter fare affidamento.
Da ultimo, non venga meno la consapevolezza del fatto che le parole e i gesti, o la loro assenza, incidono e lasciano segni. L’errore fatto nel parlare di distanziamento sociale e non fisico non si ripeta su altre dimensioni. Le scelte, o le non scelte, pesano e peseranno sulla scuola, e quindi sulla società di cui essa è parte. Aver deciso, oggi, di riaprire tutto tranne le scuole ha mandato un messaggio chiaro, anche se forse non voluto, rispetto al valore sociale dell’istruzione e della socializzazione. Bambini e ragazzi hanno visto con i loro occhi che era più urgente altro. E questo avrà sicuramente ripercussioni, per esempio sull’attribuzione di importanza alla scuola e agli insegnanti, già di per sé poco riconosciuti per alcune categorie di studenti e famiglie. Madri e padri, poi, spaventati dalla malattia, ma anche dalla confusione e dalla fatica della scuola così come la si è vista in questi mesi, stanno valutando percorsi alternativi, come l’educazione parentale, non per una libera scelta genitoriale, ma per paura, sfiducia, incertezza.
Progettare il prossimo anno scolastico garantendo il diritto all’istruzione
Il diritto all’istruzione, infine, non è stato garantito a tutti nello stesso modo. Alunni e studenti fragili, in condizioni di svantaggio o ancora di povertà educativa, in particolare, lo hanno visto in molti casi messo tra parentesi se non del tutto negato, in una ripresa di disuguaglianze che rendono ancora pericolosamente attuali le parole di Don Milani e dei suoi allievi della scuola di Barbiana.
È accettabile che un paese abdichi in questo modo una delle sue più nobili e democratiche funzioni?
Il virus ha spazzato via un numero enorme di persone, la maggior parte appartenente a una generazione che ha creduto nella scuola, investendo nell’istruzione dei propri figli e aprendo alla mobilità sociale e culturale. Questa generazione ha visto i propri defunti per il coronavirus abbandonati in stanze affollate, con ai piedi sacchi della spazzatura, riempiti dei loro ultimi ricordi grazie alle amorevoli mani di chi ha accompagnato il loro passaggio alla fine della vita. In questo stesso tipo di sacchi, molte amorevoli mani di insegnanti hanno chiuso i ricordi degli ultimi mesi di scuola delle nuove generazioni: il cerchio della vita si chiude e ricomincia.
Possa il nuovo anno scolastico trovarci pronti e consapevoli.
a cura di Chiara Colombo
Chiara Colombo è pedagogista, formatrice, dottore di ricerca in sociologia. Con Fiorenzo Ferrari è stata tra i primi in Italia a realizzare progetti e a scrivere di filosofia con i bambini, ideando e sperimentando un originale approccio all’esperienza filosofica quale educazione interculturale attraverso corpo, intelligenze e pensiero.
Per edizioni la meridiana, è co-autrice di “Penso dunque siamo. Percorsi e giochi di filosofia con i bambini” (2019).
Immagine: di theTrueMikeBrown su Pixabay.