Uscirne insieme è la politica. Lettera aperta a Paola Mastrocola
Cara professoressa Paola Mastrocola,
avevo già letto il suo saggio Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare (Guanda, 2012), ma dopo il nostro incontro virtuale di alcune settimane fa su Orizzonte Scuola[1] ho sentito l’esigenza di scriverle in merito ad alcune sue affermazioni sul “danno arrecato alla Scuola” sia dal donmilanismo che dal “suo libro” diventato “mito”. Immagino che con “il suo libro”, riferendosi a don Milani, volesse intendere “Lettera a una professoressa”, ma quello fu il frutto della scrittura collettiva dei ragazzi e delle ragazze di Barbiana. Forse avrà letto il libro in tempi relativamente recenti e con un atteggiamento pregiudiziale che le hanno impedito di cogliere la provocazione insita nel testo e che suscitò in molti lettori, principalmente insegnanti dell’epoca, soprattutto maestre, un impatto dirompente… al pari di uno schiaffo. A Barbiana don Milani la provocazione, ma anche l’ironia, la insegnava ai suoi allievi e allieve affinché vincessero quella innata timidezza causata dall’isolamento e dall’ignoranza.
Tornando al suo intervento in diretta dello scorso 28 novembre, lei ha affermato:
«Il danno che ho visto nella scuola è che arrivano al liceo ragazzi molto incapaci nell’uso della parola. Di vedere ragazzi di 14, 15 anni incapaci di parlare, di sostenere un colloquio argomentato, incapaci di leggere un libro, un romanzo del novecento, e capirlo, capire le pagine, le singole frasi e incapaci di scrivere a partire dall’ortografia.»
Le chiedo di immaginare di essere a Barbiana e di osservare quello che accadeva. Ascolterà dei ragazzi che stanno leggendo il capitolo VIII de I promessi sposi: “Carneade! Chi era costui? Ruminava tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone… Carneade… ma chi diavolo era costui”. Osserverà una ragazza che si alza e prende dallo scaffale il volume dell’enciclopedia Treccani per cercare la risposta. Lo scaffale era stato costruito dai ragazzi nella loro officina con robuste assi di legno.
Un altro giorno vedrà il professor Ammannati, amico di don Milani, declamare il IV canto dell’Inferno della Divina Commedia a memoria e vedrà anche dei giovani attenti ad ascoltarlo meravigliati, come se davvero fossero in quel girone infernale. E perché erano così coinvolti? Perché assaporavano quella cultura? Non la vivevano certo come una magnanimità del Priore nei loro confronti ma come un loro diritto. Un diritto sancito dalla Costituzione Italiana. Quella Costituzione che leggevano tutti i giorni e che stabiliva il diritto allo studio, il diritto ad avere 8 anni di scuola statale obbligatoria! Non 4 anni ripetuti per due, perché i ragazzi dei contadini venivano regolarmente a quel tempo bocciati, tanto che don Milani ebbe a dire “Gli svogliati e i cretini Dio non li fa mica nascere solo tra i poveri”. Erano informati pure sui diritti dei lavoratori perché alcuni di loro da grandi sarebbero diventati sindacalisti e lavoratori e comunque cittadini più consapevoli. Erano così avvezzi a leggere il giornale che subito capivano la tendenza politica della testata per come veniva commentata una notizia! (Oggi la cosa sarebbe difficile.)
I giornali informavano quasi in tempo reale di quello che succedeva nel mondo: la guerra in Algeria, poi quella nel Vietnam, la marcia per i diritti dei neri di Martin Luther King. Tutto quanto serviva per prendere posizione a favore del più debole, l’oppresso, lo sfruttato e a formare una coscienza civica e soprattutto a ripudiare la guerra.
Effettivamente non si può parlare di nozionismo, ma di approfondimento di ogni tematica sia storica che letteraria, che scientifica. Mi permetto di farle notare che, se in un passaggio della “Lettera” si maltrattano l’Eneide e l’Iliade, che comunque venivano lette da chi frequentava le magistrali per diventare maestro, liquidandole come lingue morte, era solo per contrapporle alle lingue vive: francese, inglese, tedesco, spagnolo, molto più utili per quei ragazzi di 15, 16 anni che a Barbiana le imparavano ascoltando dischi, per poi andare all’estero per perfezionarle lavorando sul posto. Immagini che esperienza sarà stata per dei giovani montanari, che forse non erano mai scesi a Firenze, e immagini la gioia di don Milani quando nel 1965 riuscì a mandare in Inghilterra la prima ragazza. Una gioia enorme, come per la prima navicella nello spazio! Don Milani è stato un precursore di quell’Erasmus che lei oggi descrive così:
«Certo è bellissimo conoscere nuovi mondi, andare ogni tanto a fare un viaggio… ma questo sbattersi fuori di casa per una specie di diktat collettivo che si è imposto… ma no! Se ne hai voglia, se proprio è un tuo piacere ma può riguardare il 5% dei giovani, il 10%, ma non tutta questa massa che si sente sfigata se non va via! Questo no!»
Credo che dovremmo dare a tutti i giovani la possibilità di confrontarsi e di sentirsi cittadini europei. Questo non si fa attraverso un viaggio di piacere, ma lavorando e studiando all’estero come già 60 anni fa aveva capito don Milani.
Se, come succedeva a Barbiana, i nostri studenti vivessero lo spazio dell’edificio scuola tutto il giorno e oggi, grazie alla tecnologia, scoprissero in tempo reale quello che succede fuori nel mondo, sono sicura che avremmo giovani più appassionati. Invece la scuola a volte sembra una fortezza inespugnabile per non dire un “carcere” di cervelli e d’idee.
Ho letto su Facebook che alcuni studenti il 25 novembre sono entrati in classe indossando delle gonne per sensibilizzare i compagni contro la violenza sulle donne. Poteva essere il motivo occasionale per affrontare un argomento importantissimo, scaturito dal bisogno di quei ragazzi di parlarne, forse più importante di un’ora di matematica o di italiano. E quel professore poteva anche rinunciarci e cogliere in quel momento l’esigenza dei suoi allievi. Poi non dobbiamo meravigliarci se uno studente afferma che a scuola ci si va solo per relazionarsi con i propri compagni e che la presenza del professore spesso è ininfluente.
Lei dice:
«Chi è svantaggiato ha solo la scuola quindi la scuola è a loro che doveva dare una cultura, una preparazione altissima, non facilitata, non divertente, non totalmente permissiva, credo, un po’ severa ma anche un po’ umile. Una scuola che insegna a leggere, scrivere e parlare.»
Torniamo a quella lontana Barbiana che poi tanto lontana non mi sembra. Guardiamo gli svantaggiati di oggi: ragazzi sia italiani che immigrati che in tante parti d’Italia non vanno a scuola. La dispersione scolastica nel nostro Paese è al 13,1%: si chiama analfabetismo di ritorno.
13 ragazzi su 100… oggi, e non al tempo di Barbiana, diventano degli invisibili, ignoranti, paurosi e timidi in balia di sfruttatori, oppure arroganti e violenti in un mondo dove vincono i muscoli e non il cervello.
Gli svantaggiati di Barbiana fino a quando non arrivò don Milani non avevano certo una scuola che dava loro una preparazione altissima. Era una scuola che faceva “parti uguali tra disuguali”, come viene denunciato in “Lettera a una professoressa”.
Don Milani raddoppia il tempo della scuola fino a 10 ore al giorno, per 365 giorni l’anno, senza vacanze! Quelle 10 ore che tanto indignano i pedagogisti dell’epoca, per i suoi allievi e allieve sono leggere e non certo pesanti come lavorare nei campi o pulire la stalla. Quella scuola che sembrava così dura era anche divertente: don Milani era una persona ironica, pronta alla battuta pungente, parlava schietto e pure a Barbiana si rideva. Ma se arrivava un ospite, allora quei ragazzi diventavano seri. Chiunque fosse: letterato, matematico, artista, ingegnere, medico o artigiano, doveva condividere il suo sapere. Allora era un bombardamento di domande su Tolstoj, equazioni, formule chimiche, disegni di progettazioni, costruzione di marchingegni, osservazione del cielo, lezioni di anatomia… e colpi di martello giù in officina.
Nel suo “Togliamo il disturbo” a pag. 110 lei scrive:
«[…] mi sembra una vera e propria manipolazione ad uso del proletariato, una distruzione programmatica e scientifica di ogni contenuto culturale che priva per sempre di cultura proprio le classi basse, le quali invece avrebbero avuto bisogno proprio di una cultura alta.»
Oggi vedo che sale un bisogno di restituire alla scuola i suoi tempi, dove bambini e bambine, e ragazzi e ragazze, oltre che studiare le materie astratte imparino la pratica di certe attività manuali. Solo se si sta bene e volentieri a scuola si accetta spontaneamente anche la disciplina. Ci sono tante realtà che sperimentano una nuova didattica di inclusione e di apertura al territorio circostante. Basta andarle a conoscere e provare ad imitarle. Questi segnali andrebbero accolti ed inseriti in una radicale riforma della scuola.
Dall’uscita di “Lettera a una professoressa” nel 1967 molti maestri trovano ancora nella figura di don Milani un punto di riferimento e spunti per una nuova didattica che si richiami a quella esperienza.
Vede, professoressa Mastrocola, oggi il pericolo non viene “dalla scuola progressista”, ma dall’incapacità della politica di vedere nella scuola un investimento culturale, sociale ed economico per il Paese.
E comunque, oggi come all’inizio della rivoluzione industriale, l’istruzione fa paura perché mette in testa strane idee e quindi meno si sa meglio è.
Ripenso al nostro incontro virtuale. Il tempo è trascorso velocemente impedendoci di pensare, di ragionare sulle cose. Il tempo tiranno vieta ogni confronto, un pur minimo dibattito, si arriva con la propria idea che riteniamo sempre essere quella giusta, si va via con la stessa convinzione, senza trovare la soluzione del problema.
A Barbiana si diceva “uscirne insieme è la politica, uscirne da soli è l’egoismo”.
a cura di Sandra Passerotti
[1] “Tanti progetti e tutti promossi. La scuola ha ampliato le diseguaglianze?”, conversazione in diretta su Orizzonte Scuola del 28 novembre 2021. Si può guardare la registrazione a questo link.
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Sandra Passerotti, nata a Pontassieve nel 1951 da famiglia contadina, si diploma in ragioneria all’Istituto Galileo Galilei di Firenze. Sposa Fabio Fabbiani, metalmeccanico, ed entra in contatto con i valori della scuola di Barbiana di cui Fabio è stato alunno. Raccoglie le memorie di Fabio in Non bestemmiare il tempo. L’ultimo insegnamento di Don Lorenzo Milani (Viareggio, 2017). È autrice del libro Le ragazze di Barbiana. La scuola al femminile di Don Milani (Firenze, 2019).
Per approfondire la scuola di Barbiana ti consigliamo Lo schiaffo di don Milani. Il mito educativo di Barbiana di Piergiorgio Reggio (edizioni la meridiana, 2020).