Lavorare da remoto in ambito educativo: trasformare la mancanza in presenza
Poteva essere una missione impossibile, forse non ci credevamo neppure noi, spesso diffidenti nei confronti delle tecnologie e invece… Siamo riusciti a lavorare da remoto in ambito educativo, trasformando la mancanza in presenza, con tante intuizioni educative a volte inaspettate.
Ecco le riflessioni “guidate” degli educatori dell’equipe del Centro Servizi Famiglia Centro Est del Comune di Genova.
Lavorare da remoto in ambito educativo: come interpretare il “prendersi cura” in una situazione a distanza?
La chiave fondamentale è stata l’esserci mentalmente anche se non fisicamente, dedicare un pensiero, continuare a riservare delle attenzioni. Il nostro obiettivo era custodire e mantenere viva la relazione educativa con i nostri bambini e le nostre famiglie.
Questo è stato possibile grazie alla relazione fiduciaria creata in precedenza che ha consentito di continuare a esserci, assumendo dimensioni e modalità d’interazione nuove ma spesso stupefacenti nella loro intensità. Così facendo, il rapporto non solo si è mantenuto vivo ma si è trasformato in qualcosa di unico, come unica è stata questa situazione nella sua drammaticità.
La scommessa, che dapprima ci ha sicuramente spaventato e sgomentato, è stata quella di continuare a stare vicino alle famiglie con mezzi tecnologici che non avevamo quasi mai preso in considerazione e che spesso non ci sono familiari: videochiamate, video chat, ecc. Ma, giorno dopo giorno, abbiamo capito che queste modalità apparentemente più fredde, in realtà erano funzionali alla relazione, e anzi, a volte, facilitavano la trasmissione di emozioni, desideri, valori… forse perché la nostra presenza fisica, in alcuni casi, è percepita come ingombrante, imbarazzante, evocativa, il filtro di uno schermo riesce ad abbattere timidezze e timori presenti nelle relazioni “reali”, facilitando il dialogo e mettendo in luce risorse prima nascoste.
PC, tablet e cellulari hanno, quindi, permesso di continuare a tessere la nostra rete fatta di legami da sostenere e obiettivi educativi da raggiungere e hanno inaspettatamente rilevato tante piccole sfumature preziose di questo modo di rapportarci con gli altri:
- La voce ha rappresentato il principale strumento a nostra disposizione per coltivare i rapporti a distanza. Attraverso di essa abbiamo colto e accolto gli stati d’animo, le preoccupazioni, il “ventaglio” di emozioni (positive e negative) vissute dagli altri.
- L’attenzione insita nella scelta del modo di avvicinarsi all’altro chiedendoci reciprocamente ‘permesso’.
- La cura nel chiedere “come stai?”, non solo come rito base della socialità ma come segnale vero di preoccupazione per l’altro.
- Il saper fare un passo indietro quando si avverte la stanchezza per le troppe ore in video.
- La ricerca di spazi e momenti dedicati ai bambini e agli adulti.
Tutti nella stessa barca: che cosa abbiamo imparato al tempo del Covid19
Ci siamo resi conto che le famiglie, probabilmente prima di noi, hanno avuto la consapevolezza che l’emergenza ha colpito tutti, che tutti rischiavamo qualcosa seppur in maniera differente e questo ci ha permesso di diventare un unico grande noi.
Abbiamo però anche imparato che la barca in cui navighiamo in questa tempesta non è sempre la stessa per tutti: i poveri sono diventati più poveri, i bambini dei nuclei più vulnerabili hanno perso rapidamente il passo della scuola.
Dopo poco il nostro compito è stato chiaro: attrezzare, equipaggiare le barche più fragili, sostenere chi fa fatica a reggere la situazione perché non ha sufficienti risorse economiche ed evitare, se possibile, che vengano travolti dall’emergenza. Abbiamo imparato nuovi modi per sostenere e aiutare le persone: ascoltando con ancora più attenzione le famiglie e rispettando il loro diritto di suggerirci come vogliono essere sostenute, con quali tempi e modalità.
Abbiamo imparato a entrare nelle case degli altri aprendo la finestra del computer: mangiando e cucinando insieme, disegnando, giocando, studiando, leggendo, ballando e facendo ginnastica. Siamo entrati con leggerezza e discrezione, accompagnando la vita d’ogni giorno in questo periodo sospeso con attenzione e fantasia. L’uso della tecnologia ci ha consentito di essere presenti assiduamente, spesso sentendoci parte della quotidianità delle famiglie. Le abbiamo accompagnate in una situazione strana che stavamo vivendo anche noi, una realtà diversa, in cui la famiglia ha dovuto riscoprirsi come nucleo.
Abbiamo fatto importanti scoperte che ci porteremo dietro come tesori, quasi fossero ‘nuove terre’ di cui tenere traccia per il futuro nella mappa del nostro lavoro educativo:
- Scoperta n. 1: la vicinanza nella distanza
Improvvisamente c’è stata la perdita di un tempo “ordinario”, una perdita che abbiamo condiviso. La prossimità di vivere la stessa condizione delle famiglie ci ha permesso di creare una forte vicinanza: ci siamo sentiti meno intrusi e più alleati.
- Scoperta n. 2: la resilienza delle famiglie
Tutte le famiglie, anche quelle più fragili, hanno messo in campo risorse inaspettate, risorse che in una situazione di normalità erano rimaste celate e che forse loro stesse per prime non si riconoscevano. Rinforzare le potenzialità risulta, quindi, ancora più centrale nel momento in cui ci si appresta alla riapertura, sia per mantenerle presenti nella vita familiare, che per permettere alle famiglie di usarle al fine di affrontare, consapevolmente, le angosce e le paure del ritorno alla ‘normalità’.
- Scoperta n. 3: i mezzi tecnologici possono essere un alleato prezioso
In particolare con i minori, lavorando sulla loro libertà di espressione e attraverso la loro creatività, siamo stati presi per mano e condotti nel loro mondo, con grande disinvoltura, da parte loro, nell’utilizzo del mezzo tecnologico.
- Scoperta n. 4: nuove modalità relazionali
Nuovi scenari e nuovi mezzi hanno portato a ripensare alle modalità relazionali e comunicative del nostro essere educatore. L’importanza di saper aspettare, di saper stare in quello che accade, di non essere centrati solo sul cambiare le cose, aggiustarle, migliorarle, imparare a pensare in termini di “impermanenza”, di cambiamento: lasciarsi il tempo di scoprire e di illuminare le reciproche sapienze.
Cosa resterà: quali aspetti vogliamo mantenere nel futuro?
Smart working è stata la parola d’ordine: è leggerezza, è flessibilità, è qualcosa che rende possibile il ‘qui e ora’ con un semplice click. Anche se tutto questo non potrà mai sostituire la vita reale, è sicuramente stata una scoperta utile, uno strumento di grande aiuto che dovremo continuare ad utilizzare anche in futuro ripensandolo in termini pedagogici e educativi.
Lo smart working si dovrà trasformare da prestito prezioso in tempo di emergenza ad uno strumento di uso comune che l’educatore avrà fatto proprio con la consapevolezza delle sue potenzialità e dei suoi limiti, per poterlo adattare il più possibile alla sua mission. Sapendo bene che nessuna relazione educativa può essere tale solo nel digitale, quest’ultimo potrà affiancarsi alle attività in presenza con un giusto equilibrio pedagogico, dando spazio a nuovi orizzonti educativi e nuove forme di creatività. Ad esempio, sarà importante aprire all’uso dei mezzi digitali come strumenti per sviluppare capacità di concentrazione e di pensiero logico e conoscenze che possono avere riscontri, ad esempio, nella costruzione dell’autonomia personale.
Un altro grande insegnamento ci viene dalla rivisitazione del concetto di tempo. Fermandoci bruscamente e ripartendo nella quarantena tutti i tempi delle persone, compresi i nostri, si sono stravolti; per questa ragione abbiamo dovuto imparare nuovi ‘spartiti’: anche in futuro sarà fondamentale mantenere un rispetto maggiore verso i tempi delle famiglie con le misure, gli accenti, gli andamenti e i movimenti richiesti.
Lo stupore per le capacità di resilienza delle famiglie da noi seguite ci ricorda, anche, che dobbiamo sempre partire dalle loro risorse personali che sono spesso inesplorate e sottovalutate.
Infine, un ultimo concetto di cui fare tesoro è che la relazione educativa supera le modalità e resiste ai cambiamenti. La nostra presenza c’è stata e si è sentita, forte, al di là degli strumenti usati. L’intensità di questa situazione, vissuta insieme, potrà fortificare la relazione educativa, grazie anche a una rinnovata attenzione alle emozioni e ai sentimenti: prima di tutto, prima di ogni altra parola.
Le difficoltà attraversate nel lavorare da remoto in ambito educativo
Tanti sono gli aspetti che abbiamo affrontato con più fatica. Le difficoltà sono state pratiche (come la compilazione delle domande di bandi, orientarsi nel labirinto di termini e proroghe dei decreti), tecniche (problemi di connessione oppure nel coordinare la triade insegnanti-genitori-bambino), di relazione (videochiamate al minore con i genitori presenti), di gestione di episodi con forte carica emotiva (essere presente da lontano e non poter portare via, anche solo per un’ora al giorno, il bambino da una situazione domestica di forte pressione psicologica).
E ancora:
- Non riuscire a staccare mai dal lavoro, non poterlo mai chiudere fuori da quell’ambiente protetto che è la propria casa, dover trovare modi nuovi per coniugare l’io lavorativo e l’io familiare.
- I compiti inviati dalle insegnanti a tutte le ore e con svariate modalità, su WhatsApp o per e-mail, attraverso foto, video, immagini o anche solo messaggi audio.
- Organizzare il tempo mantenendo un ritmo, dando una scansione costante alle cose.
- La gestione delle distanze: l’impossibilità di incontrarsi, anche solo di stringersi la mano ha comunque creato un vuoto colmato solo in parte dagli strumenti elettronici.
- L’incertezza del futuro che ci ha angosciato e impedito di immaginare tempi per realizzare i progetti futuri.
- L’attesa di un ritorno ad una pseudo normalità, in una parola: iktsuarpok, che nella lingua degli Inuit descrive quella sensazione di attesa intrepida che si prova quando si aspetta qualcuno, o che qualcosa migliori.
In conclusione…
Se vogliamo trovare un senso alla crisi appena passata, e per certi versi ancora in corso, lo dobbiamo trovare imparandone qualcosa. Non pensiamo che ci ricorderemo tutto, ma rimarremo segnati da questa esperienza solo prendendo appunti. Dovremo continuare a trovare le parole per raccontarla, questa esperienza: terribile, nuova, difficile.
Dobbiamo farlo noi, con le nostre parole: usiamole, amiamole, impieghiamole tutte nelle loro infinite sfaccettature, ammiriamole da ogni loro scintillante angolazione, stuzzichiamole, spremiamole, mastichiamole e, infine, condividiamole.
L’articolo è a cura dell’equipe Area Famiglia del Centro Servizi Famiglia Centro Est, composta da: Andrea D., Andrea O., Chiara L., Chiara V., Cristina, Giulia, Giulio, Ilaria, Lara, Marcella, Roberta, Rossella, Stefania C., Stefania S., Umberto, Viviana. La redazione è stata a cura di Arcangela, Daniela, Lara.
Il Centro Servizi Famiglia Centro Est del Comune di Genova si occupa di offrire sostegno a famiglie con bambini e ragazzi in situazione di fragilità o difficoltà familiare e/o personale. Un’altra esperienza con il lavoro a distanza in ambito educativo ci è stata raccontata dalla Cooperativa Sociale Zorba di Terlizzi (BA), nell’articolo “Esserci nonostante la distanza” a cura di Anna Maria Ricciotti.
Per approfondire il tema del lavoro educativo con famiglia in situazione di vulnerabilità, sfoglia alcune pagine de “L’educatore come geografo dell’umano” di Marco Tuggia (edizioni la meridiana, 2020).
Immagine: la foto è a cura dell’equipe del Centro Servizi Famiglia Centro Est del Comune di Genova.