La valutazione nella didattica a distanza: dare i numeri, riconoscere il valore
Dal 5 marzo ho incontrato i miei studenti soltanto attraverso uno schermo. Chiusi in casa, tutti, di colpo. Lo confesso: i voti sono stati l’ultimo dei miei pensieri. Per diverse settimane il problema della valutazione nella didattica a distanza non ha nemmeno sfiorato la mia mente. Ho avuto due sole preoccupazioni: come far sentire la mia presenza ai ragazzi e come accogliere il loro spavento.
I “diari della distanza”: non compiti, ma strumenti di gestione dell’inquietudine
Abbiamo scritto di noi. Li abbiamo chiamati “diari della distanza”, “appunti dalla mia stanza”, “attimi senza importanza”. Erano testi che raccontavano la paura, il disorientamento, il senso di claustrofobia, l’inquietudine, il vuoto della presenza del corpo degli altri o l’ingombro dello stare in troppi, per troppo tempo, in troppo poco spazio. A rileggerli adesso, sembrano già lontani nel tempo:
“Speriamo che tutto torni come prima al più presto, perché io non ce la faccio più a rimanere sempre dentro casa, voglio uscire, andare a scuola e rincontrare tutte le persone che conosco, perché mi manca davvero tutto.” A.B.
“Mi fa paura il pensiero di non poter uscire più di casa.” G.L.
“In questo momento così difficile, sto vivendo momenti di tristezza, perché questo virus si sta prolungando per molto tempo. Nei miei ‘attimi senza importanza’ penso: per quanto tempo dovrò restare chiusa in casa? Probabilmente ancora per molto. Il mio umore cambia attimo dopo attimo, per esempio, quando porto la mia cagnolina giù, l’aria e il sole mi fanno ricordare quanto era bello camminare all’aria aperta. In particolare, sento molta nostalgia perché non vedo e non posso abbracciare i miei nonni. In questo periodo penso molto ai miei nonni, mi domando spesso se loro si ricorderanno ancora di me visto che soffrono entrambi di Alzheimer, provo molta paura.” M.P.
Non erano compiti, ma erano necessari. Li ho accolti e non li ho valutati. Perché i vissuti, condivisi, scavassero meno dolorosamente dentro di loro.
Trascorse quasi due settimane dalla chiusura delle scuole, la prospettiva di concludere l’anno davanti a uno schermo si è fatta concreta. La scuola nuova che stavamo inventando doveva farsi routine, almeno per un po’. Dovevamo concepire un percorso che ci consentisse di proseguire il lavoro iniziato in classe prevedendo un elevatissimo grado di autonomia, che era tutta da costruire, soprattutto per i ragazzi che avevo conosciuto solo pochi mesi prima.
La valutazione nella didattica a distanza: tra feedback e numeri
Piccoli passi, monitoraggio, supporto continuo, feedback, revisione: queste sono state le mie parole guida.
Ho letteralmente smontato le attività che prevedevo di svolgere e le ho riadattate a una didattica lenta: i miei ragazzi hanno scritto quasi ogni giorno, esattamente come facevamo in classe. Non ho avuto bisogno di compiti in classe o di interrogazioni perché il lavoro quotidiano sui “taccuini” (file strutturati attraverso i quali accompagnavo il loro studio individuale) rifletteva il loro interrogarsi e rielaborare i contenuti che, un pezzo per volta, proponevo loro.
Ho letto tutti gli elaborati dei miei studenti, tutti i giorni, e a ciascun elaborato ho restituito un feedback immediato, apparentemente informale (un “commento privato”), ma strutturato: punti di forza, rispondenza alle richieste, tipo di criticità, un solo punto debole per volta su cui lavorare in una successiva revisione. Mi è parso che fosse la forma più compiuta di valutazione formativa a cui potessi giungere nelle condizioni in cui stavamo lavorando.
A un certo punto, però, il problema dei “numeri” si è imposto prepotentemente: la valutazione infrapentamestrale degli studenti, deliberata nel mondo di settembre, è stata confermata per gli inizi di aprile. È stato frustrante per me essere costretta a ridurre l’enorme sforzo – emotivo, prima che cognitivo – che i miei studenti e io stavamo sopportando a una serie di numeri sulla cui opportunità e validità nutrivo dubbi smisurati.
Nonostante la mia riluttanza nei confronti di griglie e standardizzazioni, ho costruito una rubrica di valutazione che consentisse di dare valore ai lavori svolti senza penalizzare chi rischiava di restare indietro. L’ho condivisa con i ragazzi, perché fossero consapevoli dei miei criteri di attribuzione dei voti e potessero proporre modifiche. Forte di una impostazione già collaudata in classe, ho usato la rubrica per valutare percorsi, mai singole prestazioni. Questo ha permesso a ciascuno di tenere un proprio ritmo, senza temere catastrofiche ripercussioni in caso di consegne in ritardo, ma, piuttosto, vedendo valorizzata la propria capacità di gestire i tempi oltre che i contenuti.
Il bilancio di un anno scolastico anomalo
Nell’ultima settimana abbiamo fatto un bilancio di questo anno scolastico anomalo: un modo per tentare un’autovalutazione e per renderci conto di cosa ci restasse veramente.
La mole di lavoro da gestire è stata spropositata, ma mi ha consentito di avere sempre il polso della situazione: leggere i feedback dei ragazzi a fine anno mi ha riservato molte conferme perché, con tutta la fatica del caso, sono riuscita a seguirli tutti, giorno per giorno.
È stato, in principio, problematico disintossicare gli studenti dal voto: i ragazzi che lavoravano con me da meno tempo mi hanno chiesto più volte, durante le prime settimane, perché non dessi un voto ai singoli compiti che mi inviavano. A maggio mi sono resa conto che i voti erano spariti dai nostri discorsi: nessuno se ne preoccupava più.
Ho avvertito il peso della solitudine lavorativa in questi mesi: avrei voluto che le mie decisioni fossero, almeno in parte, condivise; perché l’insegnamento non è una gara in solitaria, è il frutto del lavoro di molti gruppi che interagiscono e questo mi è mancato. Tuttavia, come ogni solitudine, anche questa mi ha garantito ampi margini di libertà senza i quali non avrei potuto prendere le mie decisioni, correre i miei rischi, adattare le mie scelte ai ragazzi che mi sono stati affidati e alla complessità che stavamo attraversando.
Ho visto crescere i miei ragazzi, in questa scuola da lontano, sono cresciuta anch’io. Mi restano molte domande e un’estate per lasciarle germogliare.
a cura di Grazia Amoruso
Grazia Amoruso è laureata in Lettere moderne, in scienze e tecniche psicologiche e dottore di ricerca in Storia dell’arte. Ha insegnato nella scuola secondaria di primo grado e, da diversi anni, lavora con passione e ostinazione in un Istituto professionale. Innamorata della letteratura “senza aggettivi” e convinta che le storie siano indispensabili per crescere, ha ideato la biblioteca scolastica “Articolo 3”.
Sul tema della valutazione a scuola, puoi sfogliare alcune pagine di “Si può fare. La scuola come ce la insegnano i bambini” di Davide Tamagnini (edizioni la meridiana, 2016) e guardare il video della conversazione in diretta “Qualcosa si può fare” (03/06/2020).
Immagine: di Magda Ehlers da Pexels.