La fraternità per il bene comune: una cura contro il virus della solitudine
A sentirla nominare, la parola “fraternità” alza facilmente la barriera del pregiudizio in coloro che la riconducono alle categorie della religione. Bisogna allora ricordare che la laicissima repubblica francese, nata dalla rivoluzione di fine Settecento, ha assunto la fraternità a fondamento del contratto sociale, accanto a liberté ed égalité, nella celeberrima espressione che tuttora rappresenta il motto della Repubblica d’oltralpe.
Nella sua prima accezione, la fraternità francese richiamava la regola aurea (Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi), di antichissima tradizione sapienziale e variamente ripreso dalle religioni e dalla filosofia. Successivamente si è voluto assegnare alla fraternité il compito di bilanciare in modo solidale il potenziale estremismo della libertà o, viceversa, dell’uguaglianza.
Un “dovere” di fraternità per il bene comune
Torneremo su questo aspetto tra poco, dopo aver riletto l’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata nel 1948:
“Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”
L’urgenza di quel “dovere” di fratellanza, collocato all’inizio della Dichiarazione era certamente dettato dagli orrori del secondo conflitto mondiale appena conclusosi. Un dovere etico, a fondamento di tutti gli altri diritti, che lo scorrere del tempo sembra aver alleggerito di consistenza, lasciando spesso il campo al fondamentalismo insito nei concetti di libertà ed uguaglianza, diventati categorie di contrapposizione ideologica.
Tuttavia la fraternità rimane, nell’orizzonte delle possibilità, una via, forse quella Terza Via da molti invocata ma poco chiaramente individuata nelle sue declinazioni politiche. La via del bene comune, alternativa all’idolatria del profitto personale; la via della reciprocità opposta alla logica della sopraffazione.
Il Presidente Mattarella, nel suo discorso a Trento in occasione del centenario della nascita di Chiara Lubich (25 gennaio 2020) ha individuato «la fraternità verso tutti gli altri» a fondamento dell’unità nazionale ed europea. A tutti gli effetti «una categoria politica», «motore di benessere», «perché senza la fraternità rischiamo di essere esposti al dominio dei soli interessi o delle paure che nascono dai cambiamenti, rischiamo di non avere la forza per superare le diseguaglianze che sono crescenti (per qualche aspetto), per risanare le fratture sociali, per impedire la legge del più forte».
La solitudine, ovvero la malattia principale della nostra società
La fraternità può essere la cura anche di un altro male, a mio parere la malattia principale, cioè il principio dei mali della nostra società: la solitudine, che oggi, in gradi diversi, tutti stiamo sperimentando a causa dell’isolamento forzato. Si tratta di un male morale, perché corrode l’essenza ontologica della persona umana che è relazionale. È pure una malattia psicologica, che mina la gioia di vivere, così come è patologia della vita sociale quando è improntata, come nei nostri tempi, a quell’individualismo che sfocia facilmente nell’egoismo.
Secondo Eric Fromm (in Arte di amare) l’amore fraterno, che è incondizionato, diventa possibile quando si scava oltre la superficie e ci scopriamo simili ed egualmente bisognosi di aiuto. A ben guardare, è una delle lezioni dell’emergenza coronavirus. Non si tratta solo di compassione verso chi è più fragile, ma di un sentimento esteso verso ogni persona, al di là delle differenze che ci separano, un bisogno di solidarietà propriamente umano che in questo tempo tragico vediamo manifestarsi creativamente in varie forme, talvolta eroiche.
In definitiva, il D I S T A N Z I A M E N T O imposto per contenere l’epidemia, che ha colpito indiscriminatamente potenti e persone comuni, ci ha fatto comprendere la nostra intima e fragile somiglianza, alimentando la nostalgia di relazioni autentiche e solidali.
È nostra responsabilità, individuale e politica, tradurre questa percezione in comportamenti improntati alla fraternità anche quando l’emergenza sarà passata. Si può iniziare esercitando la premura che si esprime come interessamento e “presa a cuore” di qualcuno o di qualcosa, da quelli che ci sono più prossimi all’ambiente in cui viviamo. I piccoli gesti di altruismo e di cura, che sono alla portata di tutti, anche dei più piccoli, sono in grado di rigenerare il vivere sociale, persino la politica e l’economia, a beneficio di ognuno.
a cura di Luciano Pasqualotto
Luciano Pasqualotto è docente di Pedagogia Speciale all’Università di Verona e direttore della rivista Educare.it. Per edizioni la meridiana ha pubblicato “Rendere generativo il lavoro sociale. Guida per operatori e amministratori locali” (2016).
Immagine: La danza di Henri Matisse (1909).