La cura ai tempi del coronavirus: dal guaritore ferito al guaritore infetto
La pandemia dovuta al diffondersi del contagio del Coronavirus (COVID-19) ha avuto numerose implicazioni dal punto di vista psicologico. Di fronte all’elevato numero di contagi, alla mancanza di conoscenza del virus, del suo decorso e alla ricerca di possibili terapie, tutto, improvvisamente, si è fermato. In Italia il blocco di tutte le attività e il confinamento nel proprio domicilio sono durati novanta giorni esatti. Il sistema sanitario ha invece continuato a funzionare senza sosta. In alcune regioni, in particolare nella Lombardia, quasi tutti gli ospedali si sono convertiti in “Strutture COVID-19″, per accogliere, isolare e curare i pazienti affetti dalla sintomatologie causate dall’infezione di Coronavirus.
La cura ai tempi del coronavirus: la professione medica di fronte all’incertezza
I guaritori coinvolti nell’assistenza ai “Pazienti COVID” hanno sperimentato emozioni e sentimenti forti e travolgenti e hanno lavorato interrottamente per garantire un’assistenza sanitaria stra-ordinaria.
Il guaritore ferito (semidio)[1] si è tramutato in guaritore infetto e, ora, tra gli stessi ranghi dei suoi malati, si trova di fronte all’incertezza, all’impotenza e alla fragilità dell’uomo.
L’approccio alla nuova patologia è stato necessariamente sperimentale, mettendo in discussione quello sino ad allora consolidato. Creatività e sperimentazione hanno dovuto prevalere nella cura di questa nuova malattia e dei “Pazienti COVID”: ognuno diverso, ognuno con le sue specificità sintomatiche e di decorso. Sensazioni di paura, impotenza, disperazione, sfida, desiderio di normalità sono state universali e il gruppo di lavoro è diventato l’unica arma per affrontare questa nuova ed estraniante presenza.
Un faro nella nebbia. L’approdo sicuro del naufrago durante la tempesta nella gestione di coraggio e impotenza, forza e fragilità, vicinanza e distanza.
La riscoperta della propria umanità
Giorno dopo giorno le distanze di sicurezza si sono accorciate e si sono amplificati i bisogni di incontro e di contatto umano. Nonostante la consapevolezza del pericolo del contagio, del fatto che che nessun tampone o test sierologico negativo potesse garantire l’immunità, le riunioni e i momenti comuni sono aumentati tra i sanitari, anche per fare fronte all’ignoranza della scienza, all’impotenza dell’uomo e della medicina e alla necessità di trovare soluzioni e cure. In quel periodo salvare vite umane era incertezza, offrire cure sperimentazione, così il compito più importante è diventato quello di esserci, di garantire cioè una presenza umana pur nell’impossibilità del contatto fisico che è stato ridotto al minimo indispensabile.
L’uomo che cura l’altro è tornato a essere umano e ha dovuto, oltre a dispensare farmaci e cure mediche, rimettere insieme brandelli di umanità dei pazienti feriti e traumatizzati e, così facendo, dell’umanità intera.
In un mondo in cui il tempo si è fermato e la normalità della vita quotidiana è improvvisamente scomparsa, gli ospedali sono stati l’argine che ha impedito che i tantissimi morti invadessero le strade rimanendo senza degna sepoltura.
Nuove modalità di comunicazione e relazione
La vera sfida è stata imparare a comunicare dai gesti, trovare nuove modalità di relazione e parole nuove nonostante i caschi, le mascherine ed i guanti. Parole nuove per esprimere ciò che ancora non ha nome perché esperienza inaudita.
Questo momento di crisi della medicina, di messa in discussione di credenze consolidate, può diventare un’occasione unica per ricostruire il mondo e le relazioni tra gli esseri viventi.
Creare un nuovo lessico, ampliare il nostro dizionario, per raccontare l’esperienza di un epoca e dell’intera umanità, nella speranza che si ridefinisca la priorità di valori ed ideali. Solidarietà, fratellanza, rispetto per l’ambiente e per l’altro da sé.
a cura di Nadia Muscialini
[1] Ovidio, Metamorfosi, libro II 639-654; N. Muscialini, “Il guaritore ferito”, L’umanizzazione ai tempi dell’aziendalizzazione, 2005, Milano.
Nadia Muscialini è psicoanalista e Dirigente psicologa SSN. Per edizioni la meridiana è autrice de “Il guaritore infetto. La cura ai tempi del coronavirus” (2020), in cui raccoglie testimonianze di operatori sanitari risalenti alla prima ondata dell’emergenza.
Sull’umanità nelle pratiche di cura, sfoglia alcune pagine di “Ho perso le parole. Potere e dominio nelle pratiche di cura” di Felice Di Lernia (edizioni la meridiana, 2008).
Immagine: di Ashkan Forouzani su Unsplash.