La convivialità come terapia d’urto
Sulla scuola ci vorrebbe un intervento brusco come si fa ogni qualvolta si deve, in tempi brevi, modificare una condizione negativa.
Se ci pensiamo bene è stato così anche a marzo scorso. Tutti a casa. Improvvisamente. Ed è stato il caos. Il crash. La rottura. Bisognava riscrivere velocemente un modo di fare scuola. Abbiamo visto tutto il peggio possibile e tutto il meglio impensabile fino a qualche giorno prima.
Perché accade così: quando si rompe uno schema c’è chi si attarda ad aggiustare il pezzo che salta, replicando e riproducendo le falle. E c’è chi, invece, ne scrive ex novo un altro attingendo a risorse non viste e valorizzate prima.
Le case, ad esempio. A lungo le abbiamo riscaldate bruciando alberi o combustibili o gas. Ora usiamo anche il vento o il sole. Risorse altre. Messe a valore per raggiungere lo stesso obiettivo: riscaldarci e scaldare.
La scuola in Italia: un modello rotto da tempo
Il modello di scuola nel nostro Paese si è rotto da tempo. Il segnale più profondo di questa frattura è la tenuta democratica della nostra Italia che, ormai, da tempo vacilla e si incarta. Un segnale del fallimento in cui la scuola galleggiava? Il dibattito infinito e acceso su chi debba avere accesso ai diritti enunciati dalla nostra Costituzione in maniera chiara: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Questo è scritto chiaramente. Il non saperlo, con altrettanta chiarezza, e dover ogni volta lottare o stupirsi per un diritto riconosciuto, indica il fallimento anche della scuola come luogo di educazione alla cittadinanza.
La Repubblica, lo Stato, rimuove gli ostacoli, ma la scuola i principi deve insegnarli per rendere più scienti e coscienti i cittadini. Dire, come i dati dimostrano in maniera inconfutabile, che l’ascensore sociale si è rotto significa dire che la scuola ha fallito nel suo compito di generare cambiamento e di promuovere lo sviluppo delle persone.
Una terapia d’urto per la riapertura delle scuole
La scuola che riapre questo settembre somma i problemi di sempre alle norme imposte dal Covid-19. Ci vuole il coraggio di una terapia d’urto.
Il filosofo e pedagogista Ivan Illich ci aveva visto giusto immaginando una società descolarizzata e dando alla terapia il nome «convivialità». Che è, sosteneva lui, «un mondo in cui ognuno possa essere ascoltato, nel quale nessuno sia obbligato a limitare la creatività altrui, dove ciascuno abbia uguale potere di modellare l’ambiente che a sua volta poi determina i desideri e le necessità».
A somministrarla per primi sono i docenti e i dirigenti. A patto, però, che non si sentano impiegati del sistema, ma persone generatrici di futuro e comunità.
a cura di Elvira Zaccagnino
Elvira Zaccagnino è direttrice delle edizioni la meridiana. L’articolo è stato pubblicato originariamente sul periodico Madre – Il mensile della famiglia di settembre 2020.
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Immagine: Joan Mirò, Blu II (1961)