Nuovi spazi di vita familiare: tra isolamento sociale e solidarietà
“Non c’è più tempo, restiamo a casa”: con questo ordine da parte del governo si sono aperti inediti spazi di vita familiare. La dimora, luogo del ristoro temporaneo in una vita passata perlopiù freneticamente fuori delle mura domestiche, diventa spazio privato dove obbligatoriamente tutti devono convivere. Ognuno fa quel che può per accomodarsi dentro a questo perimetro dell’isolamento sociale che segna un confine che, in quanto ora invalicabile, diviene sconosciuto.
Le famiglie che adesso devono stare forzatamente insieme sono tante e tra loro molto diverse. Perciò non c’è un modo unico di stare dentro casa. Ognuno, a partire dalla sua condizione, sta inventando il suo.
Il virus della solitudine
Alcuni sono barricati nelle poche stanze dei loro appartamenti con i loro affetti. In ogni caso sono rimaste fuori molte relazioni, sia parentali che amicali. Nonni in isolamento dai nipotini devono accontentarsi di languide videochiamate. Il gruppo amicale, prima funzionante come famiglia sostitutiva, non è frequentabile. Ci si sente più soli, meno ancorati all’altro.
Manca la maestra, si avverte l’assenza dei professori, si patisce il vuoto lasciato dai colleghi, mancano i compagni… Questa condizione diventa allora triste nostalgia e struggente desiderio, due emozioni che possono sviluppare però un incremento di amorevolezza verso il prossimo. E lo stiamo vedendo nascere, farsi strada, coinvolgere interi quartieri.
Per molti il restare a casa significa, invece, rimanere fisicamente soli poiché questa era la condizione di vita precedente, attenuata però da tante relazioni fuori casa. Ora nessuno entra fisicamente tra le pareti e il single non può uscire. Giovane o anziano che sia, vive un vuoto relazionale che si fa sentire con qualche sintomo tipico del vissuto abbandonico. Compaiono insonnia, fame nervosa, inquietudine, ossessività, dipendenza dai social, stazionamento davanti alla TV… È tutto normale. È bene abitare anche questi stati d’animo consapevolmente. Soli fisicamente, o in compagnia di chi essendoci fisicamente fa sentire ancor di più la solitudine, sono i campanelli d’allarme della inevitabile tensione interiore.
Altri, infine, sono drammaticamente lontani dai loro affetti e faticano a reggere un’inquietudine senza nome. Sono i genitori in ansia per i figli domiciliati in altre zone del Paese o in altri Stati. Sono i vecchi genitori irraggiungibili là dove dimorano, che creano uno stato di perenne preoccupazione per la loro salute. Sono fragili anziani non più abbracciati da settimane perché isolati nelle loro residenze protette, che stanno, giorno dopo giorno, smarrendosi. Sono ultraottantenni svuotati per l’improvvisa assenza di chi amano e di chi li ha amati per una vita. Accuditi con tanta forza d’animo da un solerte personale. Deprivati però del tocco di chi li ha tenuti stretti a sé per anni ed anni. L’odore della struttura ben disinfettata e della mensa ben rifornita prende il sopravvento sul rassicurante sapore della pelle di chi ti è stato accanto, dentro, vicino per una vita.
Isolamento sociale: il sogno di ritrovarsi
Ognuno sogna di ritrovarsi. Qualcuno più fragile è scappato dai controlli e cerca la sua famiglia. Colpevole giuridicamente, assolto emotivamente. La paura rende irrazionali. L’angoscia non gestita da nessuno rende dissennati.
Si scappa verso chi si ama. Si ha paura di non riuscire a rivederlo poiché il proprio caro potrebbe ammalarsi, venir ricoverato, morire. Morti solitarie in vite spezzate da Covid19. In ogni caso.
In questi giorni, infatti, nessuno può tenere per mano chi se ne sta andando da questo mondo. Gli affetti familiari con gli ammalati sono recisi per sempre nella più oscura solitudine. Sono affettuosità negate nel momento del trapasso. Quello sguardo per dirsi addio nell’ultimo alito della vita mancherà e tormenterà per sempre.
Ma la solidarietà dell’isolamento è l’unico modo per aiutare tutti. E possiamo apprenderla, questa nuova forma di solidarietà, solo praticandola ognuno dalle sue case.
a cura di Paola Scalari
Paola Scalari è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista ed esercita a Venezia. Docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia e supervisore alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG Istituto di Milano e di Tecniche di conduzione del gruppo operativo nella consociata ARIELE Psicoterapia di Brescia. Da anni è consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe di associazioni, enti ed istituzioni che operano nei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
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Immagine: L’albero della vita di Gustav Klimt (1909)