Il ruolo della scuola nell’educazione ambientale: oltre la Giornata dell’Ambiente
Nella mia esperienza di oltre vent’anni di comunicazione e sensibilizzazione sui temi ambientali, mi sono interrogata spesso sul ruolo della scuola nell’educazione ambientale. Ciò che ho notato è che i progetti di educazione alla sostenibilità che secondo la lungimiranza dei dirigenti s’innestano nel curriculum scolastico sono quelli che hanno un’azione trasformativa su tutto il territorio, perché supportati da iniziative della comunità educante che arricchiscono e danno un valore aggiunto al progetto. Nelle scuole la gran parte di questi interventi, però, sono legati a piccoli progetti di educazione ambientale: restano di certo iniziative di una certa importanza perché, seppur limitate nel tempo e nello spazio, potrebbero aiutare a innescare la miccia e promuovere un cambio nelle abitudini anti-ecologiche delle famiglie.
Il problema è che troppo spesso questi progetti vengono considerati poco più che decorativi e promossi solo per commemorare l’ennesima giornata green cavalcando una moda passeggera. Così il tempo passa: che cosa raccontano ai bambini alberelli moribondi, orti abbandonati, elaborati buttati per mancanza di spazio o interesse, scarso coinvolgimento dei docenti nel proseguo delle attività outdoor? Che i progetti d’ambiente non sono poi così importanti e che hanno valore soltanto in quel limitato frangente perché non esiste una visione lungimirante, né la consapevolezza diffusa che la vita di un albero è degna e va onorata quanto quella di qualunque altro essere vivente.
Tantissimo lavoro viene sprecato perché nella scuola manca una presa di posizione precisa sull’importanza della salvaguardia del pianeta, mentre i docenti che se ne occupano spesso lamentano una sconcertante solitudine, e gli esperti sono sottopagati e poco valorizzati.
Capire è cambiare: educare bambini e ragazzi a pensare
Educare ha sempre intrinseche componenti ideologiche. Nel modo in cui educhiamo stiamo formando le generazioni future e questo influenza la maniera di stare insieme e quindi l’intera società. Come sostiene il neuroscienziato David Bueno:
Possiamo educare e far crescere individui molto competenti, professionisti che competano tra di loro per vedere chi è il migliore; possiamo crescere persone adatte a vivere nell’ambiente intorno ingenue e sottomesse che accettano lo stato delle cose. Oppure possiamo aiutare le persone a crescere in dignità valorizzando il proprio talento e le proprie differenze.
Hannah Arendt ci ricorda che la sfida educativa è quella di educare a pensare, costruire cioè individui con capacità critica, in grado di guardarsi intorno e cambiare le cose.
Purtroppo l’ambiente non parla e, seppure consapevoli che i cambiamenti climatici esistano, non sappiamo quando né come influenzeranno la nostra vita. Pertanto, poiché non imminente, non ne percepiamo la minaccia. Nonostante dal Club di Roma ad oggi gli ambientalisti abbiano impiegato fiumi di parole e abbracciato migliaia di cause, ha dovuto scioperare una bambina con un cartello in mano per risvegliarci dal torpore dell’inazione e per mostrarci le nostre contraddizioni. Senza mezzi termini Greta Thunberg ci ha ricordato il nesso tra conoscenza e cambiamento: il sapere non è mai separato dal corpo di chi lo genera.
Se è vero che viviamo nell’Antropocene, cioè in quell’era geologica in cui noi umani abbiamo compromesso il sistema natura al punto da alterare alcune funzioni vitali che nuocciono alla nostra stessa esistenza e a quella delle generazioni future, come ci ricorda Greta, capire è cambiare: è il momento di agire perché non c’è più tempo e ogni scusa ci avvicina ogni giorno di più al baratro.
Una scuola che abita il mondo
La scuola è nel mondo e deve abitare la complessità che la circonda. Per questo credo fermamente che la sfida della scuola, oggi, consista nello smettere di arroccarsi intorno alle vecchie consuetudini consolidate (divisione in discipline, orari, giudizi, programmi ecc.) e uscire nel mondo per considerare la natura come l’asse su cui fondare l’edificio curriculare. Per creare, come dice Daniel Goleman[1], «una generazione capace di interconnessioni, capace di rendere visibile l’invisibile e di vedere le implicazioni su vasta scala che portano le nostre azioni in ottica sistemica e capace di creare strategie che compensino il fatto che non possiamo anticipare tutti i possibili effetti delle nostre azioni».
Perché questo accada non si può più parlare di educazione ambientale come di una nuova materia scientifica, ma di educazione alla sostenibilità come assunzione di un nuovo paradigma, in cui il ruolo della scuola è preminente, che stimoli una trasformazione culturale: un sistema complesso e incerto che proponga un approccio preventivo e non difensivo, che coinvolga fortemente i valori della cittadinanza e della responsabilità, che aiuti i bambini a ritrovare il contatto con la natura a partire dalla scuola.
Riprogettare la scuola dopo il Covid-19
Dopo il fermento scaturito dal primo lockdown nel mondo della scuola, a settembre scorso immaginavamo ci sarebbe stata un’apertura verso l’esterno; invece c’è stata un’ulteriore chiusura e restrizioni più rigorose verso l’interno. Nonostante numerose eccezioni di aule all’aperto diffuse in tutta Italia, questo è stato l’anno in cui i bambini sono stati più penalizzati dal vivere al chiuso. Un anno fa cominciavo a scrivere Apprendere con gioia. Outdoor education nei cortili scolastici e oggi più di allora ne sono convinta: i bambini per crescere bene hanno bisogno di una scuola grande come il mondo.
Gli spazi (bosco, orto, spiaggia, cortile, piazza, museo) in cui riprogettare le modalità di fare scuola ci sono e sono disponibili. È la scelta da parte della comunità educante a essere condizionata da vincoli di varia natura: il contesto, i bisogni dei bambini, la capacità di affrontare il rischio, le intenzionalità pedagogiche di ciascun educatore, solo per citarne alcune.
Ecco allora che per la rinascita della scuola pubblica, ridotta in frantumi dal Covid, all’interno del libro propongo una cassetta degli attrezzi per coltivare il coraggio e la resilienza e riscrivere il modo di stare a scuola dal prossimo settembre.
È ormai accertato, infatti, che con le pandemie avremo sempre più a che fare: è necessario pensare oggi a come costruire insieme alla comunità educante una scuola che alleni alla convivenza pacifica con tutti gli esseri viventi a partire dalla valorizzazione degli spazi aperti più prossimi, i cortili scolastici, anche grazie all’orientamento pedagogico dell’outdoor education.
Come ci ricorda Von Prondzinski[2], «Una futura generazione che da piccola ha esplorato e giocato liberamente, sia fuori che dentro, che pensa e che ragiona con riferimento al contesto in cui vive, troverà o si inventerà un modo per risolvere problemi complessi».
a cura di Ilaria D’Aprile
[1] D. Goleman, L. Bennet, Z. Barlow, Coltivare l’intelligenza emotiva. Come educare all’ecologia, Ed. Tlon, 2017.
[2] V. Prondzinsky, Gioco libero in contesti educativi aperti. Fra bisogno e diritto in Atti del convegno Che aria tira in giardino? Una riflessione sui temi che caratterizzano i servizi educativi comunali del 19 Novembre 2016.
Per approfondire:
• Aprire la scuola al territorio: verso la città educativa di Ilaria D’Aprile
APPRENDERE CON GIOIA
Outdoor education nei cortili scolastici
di Ilaria D’Aprile
Scopri di più e sfogliane alcune pagine
Guarda anche la serie di video 6 cammini per l’Outdoor Education
Ilaria D’Aprile, laureata in Scienze Forestali e Ambientali presso l’Università di Bari e con Master in Educazione Ambientale per la promozione di uno sviluppo sostenibile presso l’Università di Bologna, è presidente di ESSERE TERRA ed esperta in educazione alla sostenibilità. Realizza progetti di formazione per insegnanti e studenti curiosi.
Con edizioni la meridiana, sui temi dell’educazione ambientale, ha pubblicato anche “Abbecedario verde. Salvare la Terra partendo dalla scuola” (2011).
Immagine: di Karolina Grabowska da Pexels.