Il ritorno in Iran | Dal diario di Herat di Gholam Najafi
Sono uscito da Teheran all’inizio del 2006, e sono rientrato oggi, l’ultimo giorno del 2022. Non so perché l’anima mi spinge verso questi luoghi dove sono stato cullato senza madre e padre. Cammino nei luoghi dove ho abitato per circa cinque anni, ero un operaio poi muratore e recitatore del Corano.
Ho iniziato a seguire i miei vecchi percorsi guardando tutti i cambiamenti, cammino davanti agli altissimi palazzi costruiti nella zona più alta di Teheran anche con le mie fatiche. Nonostante ci siano nuovi palazzi che occupano i vecchi spazi riconosco nella bellezza del marmo le mie opere ancora vive.
Sento però anche il forte richiamo delle grida degli uccelli nel bosco, come se volessero indietro gli antichi rami. Oh, perché non nasce mai un nuovo ramo da questi antichi rami perduti?
I profeti, che molti storici dicono che non sono di questa terra ma che la governano da sempre, tranne uno che forse era nato fra le montagne afghane che è Zoroastro e un altro che era un profeta arabo, ritornano sempre nei luoghi a cavallo fra questi due. Uno va in letargo a prepararsi per una nuova stagione e l’altro riprende i lunghi cammini per anni, invecchiando come una tartaruga.
Sì, in questa città avevo guadagnato i soldi del mio primo viaggio in Europa, avevo imparato a recitare i versi del Corano nella moschea di Imamzadeh Saleh. La metà della moschea oggi non c’è più, ma il grande santuario di Imamzadeh Saleh è stato ulteriormente abbellito e ampliato. Il vecchio autobus che mi portava ogni sera verso la mia stanza ora parte da un altro luogo, non ha più le stesse fermate tranne la mia, dove salivo e scendevo ogni giorno; allora ero analfabeta, solamente ora so che passa accanto ai muri del grande castello di Niyavaran, con il loro magnifico giardino, degli Shah della dinastia Qajar e poi dei due Reza Shah. Ora non ci abita nessuno ma è un monumento storico.
All’epoca, negli autobus, noi uomini salivamo nella parte posteriore e tutte le donne nella parte anteriore; oggi non è più cosi, salgono dietro anche le coraggiose donne iraniane. Se in quegli anni tutte portavano gli stessi veli, oggi molte girano senza; anzi, ho visto due fidanzati che si abbracciavano e si davano dei baci in pubblico come se fossero ad Atene (la città dove io vidi per la prima volta questa effusione in pubblico, dolcezza per l’anima).
All’epoca nella piazza di Tajrish non era ancora arrivata la metropolitana, ora invece ce ne sono quattro piani come a Londra. Qui non c’è una guerra fra uomini e donne o religiosi e non, ma fra donne e donne che non hanno purtroppo un’idea unica e questo mi dà un enorme tristezza.
Il viaggio di questa giornata inizia a Mashad nel grande Santuario di Imam Reza dove mi reco per la prima volta e dove i fedeli si ammazzano per far arrivare le mani ai muri della sua tomba e toccare gli oggetti che aveva addosso.
Poi il mio viaggio prosegue per le strade dove sono raccolte migliaia di fotografie dei giovani martiri, ci sono i nomi e le immagini ma non i nomi delle battaglie e dei luoghi dove sono state combattute. Questo è nascosto agli occhi. Entro nel castello degli Shah appena citati e inizio a prendere appunti sulle loro biografie e sui costumi della loro epoca.
Anni fa avevo scritto la mia tesi di laurea sulle due rivoluzioni iraniane, concentrandomi sulle fonti che avevo a disposizione, mentre oggi finalmente posso osservare tanti particolari, dalle stanze da letto ai giocattoli utilizzati dai bambini.
La gente è stanca, mi dicevo, già appena passati i controlli dei talebani ed entrato al confine di questo paese dove un soldato, che faceva il servizio militare, lavorava gratis per lo stato. “Grande errore lasciare vuota la pancia dei suoi soldati”, costui mi disse, guardando i miei libri con grande nostalgia. “Anch’io avevo studiato la letteratura, il mio compagno ingegneria; guarda ora dove siamo? A controllare i vostri bagagli. Vai, vai tranquillo, che finiranno presto questi giorni tristi che noi viviamo lontano dai nostri desideri e dagli affetti famigliari.”
Lo abbiamo già visto accadere in Afghanistan, dove un povero soldato non aveva uno stipendio adeguato e viveva al freddo e lontano dai parenti per lunghi giorni.
Oh, questi, questi non capiscono che tutto passa per le pance? Portano guerre lacrimose e tante rovine per l’arte, mentre occhi grandi vedono tutto. Io sono a Teheran a leggere i giornali nei parchi, a leggere e guardare i social in mano alla gente sui mezzi di trasporto, a sentire i messaggi religiosi nelle moschee e nei grandi santuari sciiti, a vedere i cambiamenti dei costumi nei musei e nei mercati, a comperare libri nelle grandi librerie di questa grande città. Osservo le conversazioni in ogni luogo, ammiro insomma le tante meraviglie e ascolto voci che i miei orecchi conoscono già bene. Certo, sono straniero di terra, ma famigliare nelle vie e nelle case. Ah, quando la mia gola riconobbe tutte queste voci ribelli al mercato…
Il mercato sta dall’altra parte rispetto alla gente comune, a spingere perché sa che un domani andremo a finire sotto gli aghi dei sarti che creano cambiamenti, sostituendo i vecchi costumi. Qui non ci sono sarti in ogni via come in Afghanistan, ma esistono grandissime fabbriche che possono dettare i modelli dei costumi occidentali.
E dunque è ancora presto per parlare delle vie insanguinate e delle grandi battaglie nelle piazze, la mia penna si riposa al posto dei miei occhi che iniziano a entrare in nuovi posti e scoprire altre voci che urlano in ogni angolo del paese. Infine i miei piedi sentono la stanchezza perché ho camminato per molti anni, forse questo nuovo anno nel quale abbiamo appena messo i piedi mi donerà un’ora di riposo.
Gholam Najafi
Gholam Najafi è nato in Afghanistan. Ha trascorso l’infanzia lavorando come pastore e contadino. Dopo la morte del padre, all’età di dieci anni, è fuggito dal suo paese d’origine verso il Pakistan, l’Iran, la Turchia, la Grecia e infine l’Europa. Dal 2006 risiede in Italia, a Venezia, con la sua famiglia adottiva. Si è laureato in soli due anni in Lingua, cultura e società dell’Asia e dell’Africa mediterranea e si è specializzato in Lingua, economie e istituzioni dell’Asia e dell’Africa mediterranea all’Università Ca’ Foscari. Attualmente collabora con il progetto “HERA” nel contesto della migrazione, presso l’Università di Padova e si dedica a scrivere racconti e poesie sulla situazione afghana.
Nei suoi libri racconta la sua storia e la sua vita tra due culture e due famiglie. Scopri i libri di Gholam Najafi e sfoglia la sua ultima pubblicazione, Il sorriso di Melograno.
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Foto: Gholam Najafi