Fiducia a scuola: l’esperienza di un’insegnante bendata
Ho sentito parlare per settimane di interrogazioni a distanza con l’applicazione di sistemi di controllo utili a rendere la verifica orale oggettiva e non viziata da appunti, libri, schermi di svariati device finalizzati a portare a casa – anzi, visto che i ragazzi sono a casa, a trattenere a casa – un ottimo voto. Docenti di ogni ordine e grado che, per accertarsi della correttezza dei propri alunni, hanno fatto ricorso a disparati e disperati metodi: interrogazione con le mani alzate, interrogazione da bendati, interrogazione di spalle allo schermo, interrogazione con la condivisione dello schermo…
Insomma un bell’elenco di azioni che da subito mi sono sembrate estreme e poco rispettose della dignità dell’intera comunità scolastica. Simili metodi feriscono non solo la dignità degli alunni, ma anche quella dei docenti.
Infine, negli ultimi giorni, è balzata agli onori della cronaca la vicenda della studentessa di Verona costretta a bendarsi per dimostrare di non barare durante l’interrogazione. Mi ha stupito molto quanto una notizia del genere sia rimbalzata tra giornali e social e quanto poco profonda sia stata la riflessione sul reale problema che la vicenda mette in luce.
Così l’ho fatto: a più di un anno dall’inizio della didattica a distanza e ormai a sei mesi in didattica digitale integrata, mi sono posta la domanda delle domande: io come starei al posto di questi studenti? E mi sono bendata.
E se a bendarsi durante l’interrogazione è il docente?
Una volta a scuola, con la mia classe divisa tra schermo e aula, ho chiesto loro se avessero sentito parlare delle “interrogazioni bendate”; mi hanno risposto di sapere esattamente ciò a cui mi riferivo. Ho quindi annunciato che avrei interrogato in storia bendata.
La loro prima osservazione è stata immediata: “Prof, ma si sbaglia! Siamo noi a dover essere bendati, così lei è sicura che non bariamo.”
Io ho sorriso, mi sono tolta la sciarpa che avevo al collo e mi sono bendata.
Mi sono sentita subito in difficoltà. Sebbene fossi seduta, il buio che è calato intorno a me mi ha spiazzata e ho subito percepito il senso del pericolo, la paura del giudizio, dell’assenza di controllo su ciò che mi stava accadendo intorno con gli alunni in classe e con gli alunni a casa. Queste sensazioni hanno attivato in me una serie di meccanismi di difesa inconsci. Benché mostrassi apparente serenità, sentivo il corpo irrigidirsi e il cervello che mi chiedeva di risolvere il black out.
Poi ho iniziato a interrogare. La ragazzina a cui ho posto le prime domande mostrava una leggera insicurezza nella voce, ma, nonostante la ‘scomodità’ fisica ed emotiva da tenere a bada, sono intervenuta e ho dialogato con lei come fosse una normale interrogazione. Come nostra abitudine, il dialogo si è ben presto allargato ad altre persone della classe, anche tra coloro che erano a casa; man mano che io prendevo confidenza con il mio buio, le voci dei ragazzi e delle ragazze che ero in grado di distinguere chiaramente si trasformavano in suoni rassicuranti.
Le riflessioni degli studenti: il problema della fiducia a scuola
Prima di sbendarmi, ho domandato loro se mi avessero fatto foto e mi hanno garantito di no. Così, spiazzandoli ancora, ho chiesto sia ai ragazzi che erano in classe, sia a quelli che erano a casa di farne una: volevo che rimanesse una traccia del nostro vissuto anche in una foto.
Dopo ci siamo concessi un tempo per scrivere pensieri e sensazioni sull’esperienza vissuta. Ecco alcune delle loro:
“Mi sono sentita strana, perché è strano che una professoressa dia a noi così tanta fiducia.”
“È stata una esperienza strana, non so come descriverla, ma so che pochi di noi potrebbero ammettere la voglia di copiare o leggere. A me è venuta, ma proprio perché la prof si fida di noi non ho voluto deluderla.”
“Penso che sia stata una bella esperienza, perché la prof si è fidata di noi, e io che sono stata interrogata mi sono sentita responsabile, perché in ogni momento avrei potuto leggere dal libro, ma non l’ho fatto, perché anche se la prof non mi avesse scoperto, io mi sarei sentita in colpa perché lei si fida di noi e quella fiducia per me è la cosa più importante per andare d’accordo e volersi bene.”
“Quando la prof si è bendata, ho pensato che per farlo doveva avere molta fiducia nei nostri confronti e mi sono sentita di non tradire la sua fiducia e quindi di non copiare.”
“E vogliamo parlare del coraggio che ha avuto a bendarsi con noi tutti liberi di fare ciò che volevamo, anche a rischio che entrasse qualcuno da fuori e con la possibilità di essere vista dai genitori da casa?”
“Prof, mi sentivo guardato da lei anche se sapevo che non poteva!”
I pensieri che l’intera classe ha espresso non sono da commentare perché quella è la voce dei ragazzi e come tale va accolta.
La nostra riflessione di addetti ai lavori deve, però, inevitabilmente ricadere sul tema della “fiducia” a scuola che è il fil rouge di tutti i commenti: la fiducia che, in questo caso, non è stata tradita, ma ha trovato in questo gioco-esperimento uno strumento per esplicitarla e suggellarla. Al contrario di quanto avvenuto nel caso salito agli onori della cronaca, dove era inesistente e totalmente lesa.
Che cosa ci dice il comportamento di tutti gli insegnanti che hanno fatto ricorso a quei metodi dal sapore di ‘tortura’ per verificare che i ragazzi non barassero? Stanchezza, frustrazione, senso di impotenza, bisogno di controllo, paura: tutti elementi che snaturano ogni tipo di relazione. Immaginiamo soltanto cosa sono in grado di generare, o di non generare, in una relazione educativa.
L’avevo già intuito in Lasciarsi ribaltare (edizioni la meridiana, 2020) quando scrivevo: “Micorrize pedagogiche occorrono per trasformare il nostro modello educativo da dipendente a generatore di molteplici possibilità”.
Creare un clima di fiducia a scuola: verifiche e valutazioni come momento di crescita
Ma – molti sostengono – c’è il bisogno spasmodico dei nostri ragazzi di barare, quando sono nelle condizioni di poterlo fare, pur di ottenere un bel voto.
Mi metto ancora una volta nei loro panni e mi domando che cosa avrei fatto io. Ahimè, lo ammetto: avrei barato. Per non barare non devi sentirti in pericolo, e per non sentirsi in pericolo a scuola deve cambiare la prospettiva in cui noi docenti, alunni e genitori percepiamo e percepiscono il momento di verifica e valutazione degli apprendimenti.
Il punto è proprio questo: verifiche e valutazioni vengono ancora viste come il momento della resa dei conti. Un atto dovuto come in un duello o come in economia, un mettere a pari il dare e l’avere. Eppure anche in economia ci sono plusvalenze e minusvalenze: per far quadrare perfettamente un bilancio ce ne vuole di maestria!
Verifiche e valutazioni non sono ancora considerate come un momento di confronto, di crescita; spesso, anzi, sono solo un momento che segna, che bolla, una fotografia, un mero registrare quantitativo. Tutto il contrario di quello che da anni si cerca di promuovere, rendendo il momento della verifica un tempo e uno spazio per mettere a punto, affinare, migliorare quanto appreso o quanto ancora non si è appreso.
Il nodo sta sempre qui e me ne duole: finché in questo Paese si continuerà a parlare di cambiamento non agito e non esperito, ci troveremo ancora a commentare esperienze impensabili e inimmaginabili come quella che abbiamo visto in questi giorni. Quanto accaduto tra la prof e la studentessa di Verona dice molto del percorso che abbiamo ancora da fare, lontano dalle polemiche e dai riflettori ma a stretto contatto umano e professionale negli ambienti educativi con umiltà e, perché no?, avendo il coraggio di Ribaltare e Lasciarsi Ribaltare.
a cura di Lucia Suriano
Lucia Suriano è docente nella scuola secondaria di primo grado. Ha iniziato a ricercare e sperimentare modalità e strumenti che realizzino il vantaggio dell’Educare alla felicità (in ambito educativo scolastico). Ribalta stereotipi e falsi miti educativi per una scuola capace di includere realmente tutti partendo dalla potenza della fragilità. Per edizioni la meridiana è autrice di Educare alla felicità. Nuovi paradigmi per una scuola più felice (2016) e Lasciarsi ribaltare. La Scuola è aperta a tutti (2020).
Immagine: Profondità, Lucia Suriano (2021)