Educare al futuro e alla speranza: esami pratici di resilienza
Abbiamo studiato in tanti, da vent’anni e più, come le rivoluzioni della società liquida, governata dallo strapotere della finanza, della tecnosfera, della globalizzazione e della società della prestazione hanno rimodulato la condizione umana. Ci siamo appassionati a ragionare soprattutto sull’impatto che tanti cambiamenti ultraveloci hanno prodotto sul nostro ruolo di adulti, e di adulti educatori.
Vado a memoria, sapendo di saltare riferimenti che per altri saranno più significativi: Bandura, Maturana, Varela, Prigogine, Malaguti, il pensiero della complessità, le capacità di resilienza e le soft skills. Insomma dalle passioni tristi di Miguel Benesayag ai sette saperi di Edgar Morin, abbiamo riempito le nostre librerie e i nostri confronti con altri educatori con l’invito a recuperare terreno rispetto all’incertezza e alla paura, per insegnare ai bambini e alle bambine come si fa a vivere. Attraversando l’immaginario di un presente e soprattutto di un futuro denso di minacce.
A queste minacce siamo anche stati capaci di dare volto e corpo grazie a una narrazione tossica e al nostro pensiero critico anestetizzato: di volta in volta il terrorismo, l’assalto all’occidente compiuto da flotte di barconi carichi di disperati, l’odio per gli stranieri, le catastrofi ambientali. Insomma, noi, quelli che per primi non hanno conosciuto fame, miseria, guerra se non attraverso le immagini sbiadite dei racconti di qualche nonno, noi adesso siamo qui, davanti al pericolo reale di una particella piccola qualche milionesimo di millimetro, che ci costringe tutti a fare i conti con l’insicurezza, quella vera. E con le necessarie limitazioni della libertà personale. Tutti a casa, ritirati come degli hikikomori, ma ritirati con i bambini, e con gli adolescenti. La scuola? A distanza. Le attività sportive, gli allenamenti, i corsi di musica e danza, le feste di compleanno, e tutto il sistema di organizzazione della vita dei figli? Cancellati. Per ora è così.
Resilienza: l’esame di pratica
La sensazione è quella che, dopo tante prove teoriche, ci venga proposto e senza preavviso l’esame di pratica. Non è solo il futuro a essere un oscuro pericolo, il pericolo è qui, oggi, e la resilienza va appresa adesso, malgrado, più che impauriti, ci sentiamo spaventati e smarriti. Anche dal trovarci di colpo a dover essere adulti, e adulti educatori.
Certo, segnali di adattamento costruttivo ne cogliamo: la vita social sta mostrandoci anche il suo lato enormemente vantaggioso, con il moltiplicarsi dei tutorial per passare il tempo a casa con i figli, per animare attività di gioco al chiuso, le tante e preziose iniziative per permettere ai bambini di ascoltare storie, imparare a usare – finalmente – le mani per costruire, conoscere, divertirsi. E poi l’inaudita novità della scuola a distanza, degli appuntamenti con gli insegnanti e i compagni davanti agli schermi, speriamo utili a mantenere quel filo di relazione che per gli esseri umani è importante quanto l’ossigeno che respiriamo, e per i bambini è la condizione primaria per imparare.
Innumerevoli gli spunti di riflessione che scaturiscono dalle esperienze che, giorno per giorno, disegnano la mappa di questa sorta di pedagogia dell’emergenza. È una mappa che mostra da subito che quest’epidemia, come le crisi di ogni epoca, non mette in evidenza soltanto la nostra vulnerabilità, ma anche le condizioni di disuguaglianza, di ingiustizia, di solitudine e di sofferenza.
Raccogliamo storie esemplari di insegnanti che si muovono con scrupolo e passione per organizzare la scuola fuori dalla scuola, insieme a tante altre storie di fatica e frustrazione – non tutti sono arrivati alla didattica online preparati, o semplicemente attrezzati. Come promemoria per far tesoro di quest’esperienza, non tutte le scuole all’arrivo dell’emergenza coronavirus erano dotate di strumenti adeguati, in molti casi la stessa connessione Wi-Fi all’interno degli istituti scolastici è ancora oggetto di desiderio.
Sul versante famiglia e “tutti a casa”, provo un persistente imbarazzo rispetto a tanti messaggi edificanti, di certo consolatori, sulla bellezza del ritrovarci tutti assieme, finalmente, potendoci fermare e riunirci, come in una bella sospensione del tempo. Qui il racconto rischia di sfocare i margini della mappa: cosa può accadere in questa vicinanza coatta alle tecnofamiglie post-moderne, nate e nutrite a suon di accelerazione costante, quando saltano i quotidiani rituali di separazione? Un po’ come attorno alla tavola di famiglia di un tempo, è probabile che i nodi delle parole dette e non dette, dei conflitti, dei segreti e della disabitudine all’intimità vengano al pettine. O si aggroviglino.
E ancora: quanto sapranno e potranno sviluppare resilienza i bambini cui, come spesso ci ha ricordato Chiara Saraceno, la cicogna ha consegnato un destino di povertà fin dalla nascita? Siamo in un Paese in cui un bambino su otto è a rischio di povertà, economica, certo, ma soprattutto educativa. Non possiamo mettere da parte questa realtà. Talvolta iperconnessi attraverso gli smartphone ma disconnessi culturalmente, sono bambini che, in qualche caso, hanno nella scuola, nei centri socio-educativi, nei tanti servizi di sostegno alle fragilità familiari, il solo pasto sano nella giornata. E con esso hanno perso spazi, luoghi e risorse educative.
Covid19: un’opportunità per educare al futuro?
Qui sarebbe indispensabile cogliere l’opportunità strepitosa che ci dà il Covid19: scuoterci dall’accidia, dall’atonia dell’anima che non prevede cura, e nemmeno dolore, e non fuggire, non scappare da casa. Starci, con bambini e adolescenti, e provare a praticarli, quei saperi fondamentali per il futuro che è qui: a partire dal vivere l’inatteso come parte dell’avventura umana, tentando forme nuove di comprensione e accettando l’incomprensione. Soprattutto, essere testimoni dell’etica necessaria al genere umano per mantenersi tale. Prenderci cura gli uni degli altri, i grandi dei più piccoli, ascoltare le domande che hanno sulle labbra e nel cuore. Non perdere di vista che anche i gradi di disagio e di sofferenza non sono uguali per tutti, dircelo, e tenerlo a mente per quando sarà passata.
A proposito: avete notato come il futuro sia prepotentemente tornato nel nostro linguaggio? “Andrà tutto bene”, “ce la faremo”, sono i messaggi che rimbalzano da una tastiera all’altra. Ci aiutano, ci con-fortano, perché conforto è una di quelle parole che avevamo scordato: trovare la forza insieme.
Allora, sentiamo davvero questa opportunità eccezionale di essere vivi proprio perché fragili, confortiamoci, e confortiamo chi è più fragile di noi. A un patto: che tra le tante teorie lette e studiate mettiamo in pratica soprattutto un paio di insegnamenti di un maestro innamorato della vita, della scuola e della giustizia come Don Milani. Per esempio che “We care”, ci interessa, ci interessa per davvero, e che quel suo “Ho insegnato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica” non sia uno slogan e basta.
Ne usciremo solo insieme. E ne usciremo. E questa sarà una bella pagina di politica.
a cura di Rosy Paparella
Rosy Paparella è stata Garante dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza per la Regione Puglia. Una della priorità del suo intervento riguarda la prevenzione e il contrasto di maltrattamenti e violenze sui minori e delle violenze tra pari nei contesti educativi. Ha collaborato con la Polizia postale e le autorità giudiziarie per promuovere un uso corretto delle tecnologie anche in riferimento al bullismo e al cyberbullismo.
Per educare al futuro e alla resilienza, sfoglia alcune pagine di “Educare alla meraviglia. Reinventare la Scuola, reinventare l’umano” di Matthew Fox.
Immagine: Edward Hopper, Rooms by the Sea