Cronache dal futuro / 29-07-2021
Continua la raccolta di testi Cronache dal futuro, lo spazio aperto ai ragazzi e alle ragazze che immaginandosi nel futuro raccontano a un interlocutore da loro scelto ciò che hanno vissuto, capito, provato durante i mesi della pandemia che ha imposto di ‘non vivere’ la loro età come i loro coetanei avevano fatto prima. Un tempo diverso raccontato però dai ragazzi attraverso la scrittura e una maschera da loro disegnata. I testi costituiscono un materiale vivo, palpitante e ricco. E ci dicono che “i ragazzi sapranno fare meglio di noi”. Dobbiamo solo ascoltarli. Buona lettura.
Non tutto è come appare
Cara Elisabetta,
so che sei probabilmente a scuola, ma manchi tantissimo. Questa vacanza-studio, lontana da casa, mi rende terribilmente triste. Londra è distante da Bari e la mancanza comincia a farsi sentire.
Oggi ho ritrovato il libro delle storie che ti leggevo da piccola, quando, al posto di dormire, ti accoccolavi tra le mie braccia, cullata dalle parole delle storie.
Ti ho spesso raccontato le mie avvincenti avventure di quando ero giovane e sai che, quando dico avventure, mi riferisco a marachelle. La storia che voglio raccontarti oggi non riguarda solo me, anzi riguarda il mondo intero. La mia epoca è finita persino nei libri di storia: “Covid-19” credo che sia il titolo di uno dei paragrafi del tuo libro.
Tutto è iniziato verso novembre del 2019, quando, scorrendo nella Home-Page di Youtube, in un momento di noia, mi sono imbattuto in una pagina chiamata Fan-page che iniziava in modo vago a informare di un nuovo virus proveniente della Cina, che pian piano si stava espandendo in tutta l’Asia. Verso marzo, però, quasi di punto in bianco, ci siamo ritrovati dietro alle finestre, chiusi in casa. Il tempo non passava mai, sembrava che quel 2020 fosse bloccato, congelato.
Le prime difficoltà sono state quelle riguardanti gli spostamenti: per esempio, non poter uscire di casa o l’obbligo di mettersi la mascherina e solo in caso di estrema necessità bisognava muoversi. Non vidi mia nonna (la tua bisnonna) e mio nonno (il tuo bisnonno) per due mesi; vedevo la televisione, quasi piangendo nel vedere anziani e famiglie divise, morti e contagi che aumentavano. Fino a quel momento il nome Conte o Azzolina erano per la mia mente sconosciuti.
Dopo alcune settimane, però quei due nomi e quelle due figure politiche diventarono parte integrante della nostra quotidianità, come del resto amuchina e mascherina, guanti e quel senso di malinconia che saliva quando stavi per addormentarti.
Quel periodo mi cambiò in tutti i modi. Non scherzo quando dico che mi sentivo cattivo e “arrogante”. Quel mio atteggiamento fu anche condizionato dal periodo che stavo vivendo, l’adolescenza. Il fatto di non poter uscire e divertirmi, in realtà, non sono stati condizionamenti che mi hanno fatto stare particolarmente male perché rimanere sul divano a ingozzarmi di pizza e coca cola non fu poi così brutto. Certo, la libertà di uscire divenne, però, dopo sole poche settimane, il desiderio di tutti. Mi sentivo come un leone in gabbia, ma d’altro lato felice di potermi dedicare ai miei hobby come, ad esempio, la scrittura, una passione che si stava pian piano esaurendo dentro di me, appassendo come un fiore invecchiato e stanco.
Quindi, cara Elisabetta, non tutto sembra come appare. Molte cose del passato hanno avuto ripercussioni sul futuro.
Spesso mi fai arrabbiare quando torni troppo tardi a casa, le serate in cui frequenti gente che magari non mi piace, ma devi capire una cosa. Te l’ho detta mille volte, una di quelle frasi che spesso mettono noia ai figli.
Impara ad apprezzare ogni cosa, vivi come se fosse l’ultimo giorno disponibile, perché in fondo la vita è un attimo, un attimo che si può spegnere ogni giorno che passa.
Un bacio, tuo papà Vito.
Ps: Non approfittare della mia assenza per darti alla pazza gioia.
La fine di un incubo
Cara Stefania,
tutto è iniziato l’8 marzo 2020, un giorno che ricorderemo tutti quanti. Da quel momento in poi è cambiato tutto rapidamente: eravamo tutti spiazzati, da un momento all’altro ci siamo ritrovati a dover affrontare situazioni scomode, per prima cosa ci hanno tolto la libertà, gli abbracci, i baci, le carezze, lo sport, tutto.
Dovevi stare attento a tutto, per prima cosa alle persone che avevi attorno a te. Non sapevamo come affrontare questa situazione sbucata dal nulla. Fatto sta che iniziarono a chiudere tutto ed eravamo costretti a rimanere in casa e quindi a dover cambiare i nostri ritmi e cercare di stare più tranquilli e accettare il silenzio delle strade.
Andando avanti con i giorni mi mancava la mia vita quotidiana, lo sport, iniziava persino a mancarmi la scuola, gli amici, i professori… cosa molto strana, ma è proprio così, mi mancava tutto questo. All’inizio se volevi uscire potevi farlo esclusivamente a 500 metri da casa tua, con guanti e mascherina, non potevi vedere amici, parenti, vedevi strade deserte, ogni tanto qualcuno che portava a passeggio il cane come d’altronde facevo io.
All’inizio ho sfruttato tanto questa cosa per poter almeno correre e sentirmi “libera”, date le restrizioni. Adesso ti racconto la mia giornata tipo durante la quarantena: prima di tutto mi alzavo, facevo la mia “bellissima” dad, terminata la dad, pranzavo e poi andavo su in terrazza dove, con il passare dei giorni, mi sono attrezzata per fare una mini palestra e sentirmi a casa come se stessi in campo. Avevo anche una vista mare che mi ha aiutava a sentirmi meglio nelle giornate no: anche solo guardando il mare con la mia immaginazione mi sentivo lì e mi sentivo meglio, aspettavo ogni volta il tramonto, guardavo la luna per poi scendere in casa, fare una doccia, iniziare i compiti e, infine, cenare.
Ma arriviamo alla notte: ovviamente non potevano mancare le videochiamate con i miei amici e, terminate queste, guardavo le mie serie tv aspettando l’alba per poi ripartire con la nuova giornata. Con il passare dei giorni era diventato davvero tutto pesante e monotono, però la cosa positiva era che passavo molto tempo con la famiglia, cosa che ormai non succede più per vari motivi. Arrivata l’estate iniziarono a riaprire varie attività e, soprattutto, era arrivato il momento di potermi allenare. Aspettavo con ansia quel momento perché mi sentivo limitata, soffocata, in quel quadrato di quattro mura come se stessi in una bolla di vetro da mesi.
Inizio ad allenarmi ma purtroppo la sfiga è con me: durante un allenamento avverto un fastidio al quadricipite che mi impedisce di correre e quindi ho dovuto fermarmi per vari accertamenti. Nel frattempo lavoravo come una pazza, facendo tre lavori senza fermarmi un secondo. Dopo aver fatto diverse visite, massaggi, terapie, arriva il giorno in cui riprendo ad allenarmi ma, nonostante le cure, ho ancora dolore che peggiora, parte dal ginocchio e sale fino alla schiena. Mi fermo di nuovo e continuo con la terapia solo che non riuscivamo a capire quale fosse il motivo principale. Dopo tanti accertamenti mi trovano un’ernia, la quale mi ha tenuta ferma impedendomi di gareggiare, allenarmi ecc. Mi sentivo persa, mi chiedevo perché tutto questo capitasse proprio a me, cosa avessi fatto di male per meritarmi tutto ciò. Durante la prima quarantena mi ero allenata come sul terrazzo, dalla mattina alla sera, per arrivare al giorno in cui avevamo il via libera e poter spaccare tutto; invece non è stato così, ma va bene, sono abituata a queste disgrazie.
Passata l’estate arriva il momento in cui torniamo a scuola, ci siamo trovati in un luogo ormai a noi sconosciuto data la DAD: gel disinfettante dappertutto, igienizzanti, mascherine, misurazione della temperatura, distanza di un metro tra un banco e l’altro, ma tutto questo è durato davvero poco, perché i casi stavano aumentando giorno dopo giorno e dovevamo ritornare all’incubo già vissuto.
Ho vissuto i miei deliri, le mie crisi, perché arrivavo a non capirci più niente, a mettermi le mani nei capelli. Pian piano ho affrontato la situazione con i denti e la forza senza mollare… oddio, qualche volta avevo le mie paure e insicurezze, ma quello è umano.
A un certo punto arriva davvero il mio incubo: il 25 ottobre 2020 arriva una chiamata di mia madre che dice che è in ospedale a fare il tampone perché papà è risultato positivo. Dopo pochi attimi vedo la macchina dell’ASL sotto casa di mia nonna. Mi sono sentita sprofondare nel mio silenzio, avevo paura e pensavo solamente a come affrontare la situazione e a quello che mi aspettava. Dopo la chiamata torno immediatamente a casa ad aspettare il ritorno dei miei genitori ma torna solo mamma, papà era rimasto in ospedale tutta la notte per vari accertamenti, dati i sintomi che aveva avuto prima del tampone. Infatti, era stato colpito ai polmoni e, una volta tornato a casa, doveva seguire una terapia. Il giorno dopo iniziamo tutti quanti la quarantena, i miei genitori chiusi nella loro stanza, vista la positività di entrambi, e noi sorelle, anche se tutte negative, siamo state separate per sicurezza. È stato davvero un incubo e posso garantire che essere completamente chiusi tra quattro mura ti fa sentire soffocare, parlo per me che amo stare all’aria aperta, vedere per ore il mare e correre.
Vedere i miei genitori chiusi 24 ore su 24 in una stanza è stato straziante, potevamo comunicare attraverso videochiamate per sapere come stessero, se avessero bisogno di qualcosa o altro, portavamo loro da mangiare nei piatti di plastica, usavamo sempre la mascherina e guanti, mi disinfettavo le mani prima di toccare qualunque oggetto, ormai vivevo con mascherina, guanti e amuchina. Oltre al pensiero dei miei genitori avevo il pensiero fisso di nonna, perché lo stesso giorno anche lei è stata ricoverata non per il covid ma per una complicanza della sua malattia che aveva già, ma data la positività dei miei genitori e dei miei zii che la accudivano è stata costretta a rimanere sola in ospedale e non poter andare a trovarla; è stato davvero orribile, potevo vederla solo tramite un dannato schermo. Mi chiedevo sempre se un giorno l’avrei rivista perché vedevo che si stava lasciando andare, ma è stata una grande guerriera, come tutti noi, ma lei di più. Infatti, poco dopo è tornata a casa. Eravamo tutti consapevoli, dopo la dimissione dall’ospedale, sarebbe stato difficile affrontare la situazione perché per mia nonna mancava poco, e noi volevamo coccolarla, curarla fino all’ultimo, prima del suo “volo”. Giorno dopo giorno la situazione non faceva che peggiorare, non mangiava più, non beveva, non urinava e, nonostante il suo cuore era forte, una sera chiuse gli occhi e rimase in agonia per giorni. Noi pensavamo fosse finita, tutti i cugini eravamo sul letto vicino a lei, quando all’improvviso vediamo che apre gli occhi, noi eravamo tutti sorpresi, non ci aspettavamo una cosa del genere. Non riusciva a parlare ma piangeva e gesticolava, ma non sapevamo cosa volesse dire.
Non so dove ho preso il coraggio per resistere in quei giorni, sempre accanto a lei, giorno e notte, senza dormire, non la lasciavo mai sola perché non volevo che se ne andasse senza nessuno che fosse lì al suo fianco, non riuscivo più a vederla in quelle condizioni. Vivere accanto a lei tutto quanto, anche il giorno della sua morte, per me è stato un trauma che sto portando ancora con me perché penso a lei costantemente, la notte la sento, appena ascolto una canzone penso a lei e in tutto quello che faccio la porto sempre con me. Chissà se da lassù mi guarda ed è felice e fiera di me. Dopo la sua morte volevo mollare tutto, infatti, iniziai a non uscire, volevo lasciare la scuola, l’atletica, tutto, piangevo disperatamente giorno e notte, mi sono spaccata le mani dalla rabbia di non voler accettare tutto questo. Poi però, pensandoci e riflettendo, se avessi mollato, lei non sarebbe stata felice e allora mi sono rimboccata le mani e ho affrontato la situazione. Mi hanno aiutato molto le mie amiche e la mia allenatrice, mi hanno ascoltato e ho promesso loro che piano piano sarei uscita da questa situazione più forte di prima. Dopo tutto questo iniziavo a stare meglio, a sentirmi più libera e riuscivo a parlare di tutti i problemi che mi succedevano. Però, il 12 marzo ebbi un incidente in cui per fortuna non mi feci nulla di grave, solo una brutta botta e tanto spavento. Dopo l’incidente la vita mi mette ancora a dura prova, infatti, dopo qualche giorno mi viene la febbre e, con il passare dei giorni, aumenta nonostante la tachipirina. Ho dovuto fare un tampone e sono risultata positiva, cosa che mi aspettavo, inizio di nuovo il mio incubo per la seconda volta, ma questa volta sono io quella che rimane chiusa 24 ore su 24 nella mia stanza. Per fortuna con il passare dei giorni mi sono ripresa senza complicazioni gravi, anche se è stato davvero brutto rimanere di nuovo sola, vedevo solo muri attorno a me (la mia cameretta non ha finestre), mi sentivo seriamente soffocare, rinchiusa. Mi consolavo guardando le foto dell’alba e del tramonto, sperando di sentirmi meglio. Non augurerei a nessuno tutto questo, neanche al mio peggior nemico, perché è veramente terribile e lo dico a tutti quelli che dicono che è una semplice influenza: non è così, è molto peggio e solo chi è stato nella situazione può capire realmente cosa si prova.
Ho imparato tanto da tutto questo, ho visto persone che ci tenevano veramente e persone che venivano da me solo quando avevano bisogno. Sono rimasta sorpresa dal fatto che le persone più vicine, quelle che dovevano aiutarmi, mi hanno voltato le spalle a differenza di persone estranee che mi hanno aiutato, ho visto con più chiarezza ciò che avevo attorno e per fortuna chi si è allontanato ha fatto solo spazio, del resto io rimango sempre la stessa e faccio bene a fidarmi di poche persone ma buone. Ho aiutato gente che si è trovata nella mia stessa situazione e posso solo augurarmi che tutto questo prima o poi finisca. Mi dispiace vita, mi hai messo a dura prova, ma una grande leonessa non molla mai e alla fine ho vinto io.
Per saperne di più sul progetto Cronache dal futuro, leggi l’articolo introduttivo in cui Raffaela Mulato racconta questo progetto per dar voce ai giovani.
Cronache dal futuro è anche una proposta che vorremmo rendere virale (e virtuosa). Che tu sia un docente, un educatore o un genitore, proponila ai ragazzi e invitali a inviare i loro scritti e le loro maschere per email a informazione@lameridiana.it. Troveranno spazio sul nostro blog, dove saranno pubblicati insieme alla maschera che li accompagna.