Cronache dal futuro / 15-07-2021
Continua la raccolta di testi Cronache dal futuro, lo spazio aperto ai ragazzi e alle ragazze che immaginandosi nel futuro raccontano a un interlocutore da loro scelto ciò che hanno vissuto, capito, provato durante i mesi della pandemia che ha imposto di ‘non vivere’ la loro età come i loro coetanei avevano fatto prima. Un tempo diverso raccontato però dai ragazzi attraverso la scrittura e una maschera da loro disegnata. I testi costituiscono un materiale vivo, palpitante e ricco. E ci dicono che “i ragazzi sapranno fare meglio di noi”. Dobbiamo solo ascoltarli. Buona lettura.
Non arrendetevi mai
Vi dico una cosa e tenetela bene in mente. Se pensate che l’adolescenza sia una passeggiata, vi sbagliate di grosso. Soprattutto se la passate come l’ho passata io, chiusa in casa e con delle restrizioni se si voleva uscire. Sembra un film di fantascienza, ma non lo è purtroppo e penso che i vostri genitori vi abbiano già raccontato questa storia. Penserete che io sia troppo tragica, che stare in casa non sia poi così male. Va bene, ora ascoltatemi e poi mi direte.
Era marzo 2020 quando ci hanno proibito di uscire di casa e all’inizio era solo per due settimane, poi però sono diventati due mesi. All’inizio pensavo fosse il paradiso, non sono mai stata una ragazza molto socievole e stavo bene a casa. Ma poi, con l’avanzare dei giorni e delle settimane mi mancava uscire, vedere i miei amici e sì, anche la scuola mi mancava un po’. Il problema più grande però, era sentire il telegiornale. Ogni giorno dicevano il numero di morti, che saliva sempre di più. E nonostante ciò, in piena pandemia globale, c’era chi sosteneva che fosse tutta una bugia e che il governo ci stesse manipolando. Ma si sa, queste persone ci sono sempre state e sempre ci staranno.
A maggio, i contagi hanno cominciato a scendere e ci hanno permesso di uscire. Ormai la scuola era finita, avevamo fatto didattica online e credetemi, è più difficile di quanto pensiate. L’estate di quell’anno è stata strana, avevamo sempre le mascherine per proteggerci e limitavamo le uscite il più possibile. Ma tutto sommato non era male, finché non è arrivato settembre. Dovevamo ricominciare la scuola e nonostante fosse già arrivato l’inizio dell’anno scolastico, non si era ancora ben capito cosa dovessimo fare.
Ero molto dubbiosa: tornare era la soluzione giusta? Davvero era già passato il peggio?
Le risposte a queste domande sono arrivate a metà ottobre, perché sì, eravamo tornati, ma non era affatto il momento giusto. Se durante l’estate la pandemia si era calmata qui in Italia, ora i numeri stavano risalendo e hanno deciso di tenerci a casa un’altra volta. Le restrizioni erano meno severe della prima volta, quando siamo dovuti stare in quarantena, ma comunque avevamo poche opportunità per uscire. Il governo ha anche imposto un coprifuoco per la notte, evitando così feste “clandestine”.
Durante la settimana non mi cambiava molto in effetti, ma durante il weekend questa regola si sentiva eccome. Siamo abituati a vedere i ristoranti e le pizzerie piene di gente al sabato sera, in quel periodo però i ristoranti erano chiusi e le pizzerie facevano solo l’asporto. Le strade, dopo le 22, erano deserte. Ho percepito molto questa cosa perché vivevo accanto alla strada ed ero abituata a sentire le auto passare.
Le feste natalizie sono state abbastanza tristi, perché non ci si poteva spostare da un comune all’altro. Per cui, quel Natale, eravamo solo io e la mia famiglia. Rimpiango ora quella tranquillità, durante il periodo di Natale, qui in caserma c’è sempre un via vai di gente che addobba ogni angolo dell’edificio. Non che mi dispiaccia, finché uno dei tuoi colleghi non ti fa cadere una pallina in testa.
Comunque, tutto sommato non è stato un brutto Natale, anzi stare in famiglia è stato divertente, soprattutto durante Capodanno. Gli anni precedenti stavamo in compagnia di un sacco di gente, eravamo sempre un bel gruppo. Ma quel Capodanno è stato differente, eravamo noi quattro e basta. Abbiamo fatto videochiamate a tutti gli amici, festeggiando l’arrivo di un anno che si sperava migliore.
A gennaio ero ancora a casa, su ordinanza della regione. Lo Stato voleva farci tornare, ma il Presidente del Veneto aveva deciso di farci stare a casa ancora, per via dei contagi. Non mi sarebbe dispiaciuto tornare in presenza, anche se un po’ di agitazione ce l’avevo sempre. Non sapevo cosa aspettarmi una volta tornata a scuola: come sarebbe stato vedere i miei compagni senza poterli salutare come una volta? I professori poi, come si sarebbero comportati con noi?
È stato un periodo molto difficile per gli studenti, la didattica a distanza non è affatto come quella in presenza. Passare cinque o sei ore davanti a un computer è stressante, tanto che ho persino dovuto mettermi gli occhiali con le lenti apposite. In quel periodo non stavo molto bene, avevo cominciato a saltare la colazione, che prima facevo sempre e regolarmente, e le mie relazioni sociali erano praticamente ridotte a zero, tranne per alcune eccezioni. Mi sono rinchiusa molto in me stessa, le mie giornate erano sempre uguali e la vita era regolare e monotona. Da qui capite uno dei tanti motivi per cui ho scelto di fare il mio lavoro. Quello che mi faceva sentire bene era ascoltare musica, che è sempre stato una valvola di sfogo per me, oltre al cinema. Ecco, le mie giornate erano composte così: scuola, compiti, musica e film. Ogni giorno, tutti i giorni. Ho capito che stare da sola non era poi così male, ma non era nemmeno bellissimo. In fondo siamo fatti per stare in compagnia, l’uomo è un animale socievole, è nella nostra natura.
Quella pandemia aveva cambiato ogni cosa, aveva cambiato il rapporto tra le persone e la mentalità di ognuno di noi. Quello che stavamo passando era una vera e propria guerra, non si riusciva a vedere la luce in fondo al tunnel finché non sono arrivati i primi vaccini. Da quel momento ho cominciato a sperare che forse eravamo vicini al traguardo, perché la speranza era l’unica cosa che ci era rimasta. Su questo non ho mai dubitato, fin quando ci fosse stata speranza, il mondo non si sarebbe mai arreso. Perché è quando smetti di sperare, che ti perdi nel buio. Così pensavo e così penso tuttora, ed è una delle mie virtù.
Questo è un messaggio per le generazioni di oggi, non arrendetevi mai. La mia generazione era determinata a cambiare il mondo, perché non solo la pandemia ha contraddistinto quell’anno, ma anche proteste contro razzismo e omofobia hanno fatto scalpore in quel periodo nel mondo . C’era un Presidente che voleva innalzare un muro per tenere fuori dal paese gli immigrati in cerca di aiuto, c’erano tre poliziotti che hanno ucciso un uomo perché aveva pagato con venti dollari falsi e c’erano dei politici che volevano far approvare una legge contro l’eterofobia. Tutti questi avvenimenti, in solo un anno. Eppure non ci siamo mai arresi e abbiamo continuato a lottare contro tutto queste difficoltà, il coraggio e la speranza ci hanno fatto andare avanti. Per un futuro migliore bisogna guardare al passato e questo è il vostro.
C.L.
Per saperne di più sul progetto Cronache dal futuro, leggi l’articolo introduttivo in cui Raffaela Mulato racconta questo progetto per dar voce ai giovani.
Cronache dal futuro è anche una proposta che vorremmo rendere virale (e virtuosa). Che tu sia un docente, un educatore o un genitore, proponila ai ragazzi e invitali a inviare i loro scritti e le loro maschere per email a informazione@lameridiana.it. Troveranno spazio sul nostro blog, dove saranno pubblicati insieme alla maschera che li accompagna.