Cronache dal futuro / 04-02-2021
Continua la raccolta di testi Cronache dal futuro, lo spazio aperto ai ragazzi e alle ragazze che immaginandosi nel futuro raccontano a un interlocutore da loro scelto ciò che hanno vissuto, capito, provato durante i mesi della pandemia che ha imposto di ‘non vivere’ la loro età come i loro coetanei avevano fatto prima. Un tempo diverso raccontato però dai ragazzi attraverso la scrittura e una maschera da loro disegnata. I testi costituiscono un materiale vivo, palpitante e ricco. E ci dicono che “i ragazzi sapranno fare meglio di noi”. Dobbiamo solo ascoltarli. Buona lettura.
La quotidianità sconvolta
Tra vent’anni mi vedo sposata con il mio attuale fidanzato Stefano, con due bambini, Leonardo e Ludovica, e sicuramente racconterò loro questo brutto periodo che abbiamo passato e stiamo passando tutt’ora. Inizierei con il dire che tutto è iniziato improvvisamente, da un momento all’altro. Ci siamo ritrovati sommersi da notizie di questo nuovo virus, proveniente dalla Cina, che non era conosciuto. Era chiamato Covid-19, o semplicemente Coronavirus. Si parlava inizialmente di un virus, come la febbre, tanto che non serviva prendere particolari accorgimenti. Nessuno sapeva come comportarsi, nemmeno il Governo sapeva come affrontare questa situazione. C’era una gran confusione.
A fine febbraio 2020 la situazione iniziava a farsi seria. Iniziarono a chiudere le scuole, a imporre l’obbligo di indossare la mascherina e di mantenere la distanza interpersonale di almeno un metro. Era tutto così strano. A marzo iniziò il lockdown: chiusero negozi, imprese, aziende, strade, città, province e addirittura regioni. Infatti non ci si poteva spostare e uscire di casa, se non per motivi di primaria necessità, ovvero andare a fare la spesa e andare dal medico o in ospedale. I lavoratori furono lasciati a casa, solo i medici, gli infermieri e le forze dell’ordine potevano lavorare, per garantire la sicurezza di tutti.
Gli ospedali furono presi d’assalto, la gente stava male, c’era tanta paura. Si arrivò ad un certo punto in cui non c’era più posto per curare le persone e bisognava scegliere chi salvare: le persone più giovani avevano la precedenza, poiché avevano più anni da vivere. Non c’era materiale sanitario con cui proteggersi, come mascherine, guanti, occhiali, camici; non c’erano abbastanza macchinari per permettere a tutti di essere curati.
La situazione faceva davvero paura, le strade erano deserte, erano state imposte multe a chi usciva senza una valida motivazione; era necessaria un’autocertificazione per uscire. Le scuole continuavano ad essere chiuse, così come le aziende e i posti di lavoro: si passò così allo smart working, letteralmente “lavorare da casa”. Anche la scuola funzionava tramite didattica a distanza: per noi studenti è stato molto complicato adattarci a questa situazione. Dovevamo frequentare le lezioni da casa tramite computer ed era molto stancante stare collegati 5 o 6 ore.
A tutti è stata tolta la propria quotidianità per il bene comune, della collettività. Il lockdown è stato più volte riconfermato perché la situazione non migliorava. Siamo arrivati così fino a maggio, precisamente il 18 maggio. La situazione era migliorata di poco, piano piano, così il Governo ha deciso di permetterci, anche se con molte limitazioni, di tornare poco a poco alla normalità. Si poteva muoversi un po’ di più, era permesso tornare a lavoro solo alle categorie non a rischio. L’obbligo sempre presente era l’utilizzo della mascherina e la distanza di un metro tra una persona e l’altra. Poco a poco tutto tornava a migliorare; la scuola, però rimaneva chiusa. Infatti abbiamo concluso l’anno sempre da casa.
L’esame di maturità è stato completamente diverso: si è svolta solo una prova orale, con i propri professori, senza professori esterni. Non era permesso dalla legge essere bocciati o rimandati. Tutti erano promossi o ammessi all’esame. Le cose sembravano migliorare, quando verso metà estate la curva dei contagi è risalita. Questo perché la gente pensava di essere finalmente uscita da questo pericolo, ma non era così.
Il coronavirus non è mai sparito, bisognava quindi sempre prestare attenzione. Le persone più esposte erano sicuramente gli anziani e immunodepressi, ma questo maledetto virus poteva colpire chiunque. Tuttavia, non furono imposte regole molto rigide in questa “seconda ondata”, furono chiuse nuovamente le discoteche e i luoghi dove le persone si assembravano e frequentate principalmente da giovani, che prendevano questa situazione sottogamba, senza darle importanza. Sono morte tante persone, non c’era più posto nei cimiteri, nei forni per cremare le persone; i cadaveri venivano spostati da regione a regione, per essere cremati o sepolti.
La regione più colpita d’Italia fu la Lombardia: ho un ricordo impresso nella mente riguardo a ciò. I cadaveri, provenienti da Bergamo, vennero spostati con furgoni militari in altre regioni, e molti di essi arrivarono anche a Spinea, in provincia di Venezia. La situazione è stata tragica. Ho imparato molto da questa situazione: proteggere i più deboli. Rinunciare alla propria quotidianità per il bene comune.
Spero che questa esperienza non ricapiti, l’ho percepita come una “guerra”. È stata una guerra contro cui tutti insieme abbiamo dovuto combattere. Sono stata sconvolta e allo stesso tempo sorpresa da come la quotidianità possa essere sconvolta e strappata a ognuno di noi.
Cosa conta davvero
Oggi ricordo il lontano 2020, un anno diverso e particolare, che ha stravolto la società fino ai giorni d’oggi. Prima di allora, la mia vita era quella di una studentessa di quarta superiore, che cercava di conciliare la propria vita privata con lavoro, passioni e studio.
Ricordo il giorno in cui sentimmo per la prima volta parlare al telegiornale di un nuovo virus che aveva colpito e inginocchiato la Cina e la sua economia, chiamato Coronavirus. Sembrava un problema tanto lontano, non poteva sfiorarci (pensavamo), ma in poco più di un mese, ci trovammo chiusi in casa per giorni, settimane, che divennero mesi. È in momenti come questi, dove la vita ti sbatte in faccia una realtà inimmaginabile e assurda, che realizzi cosa hai di tanto caro, a cui non vuoi rinunciare.
Mio padre era medico. Ricordo l’ansia di mia madre quando dovette andare a lavorare nei centri Covid, tutti i tamponi che dovette fare sempre con l’ansia dell’attesa. E la scuola che cercava di continuare, con i professori preoccupati e impreparati, esattamente come noi.
Ricordo ancora il giorno in cui finalmente potemmo uscire di casa, il 4 maggio 2020, sempre con attenzione e mascherina addosso. Vidi i miei amici e, dopo mesi di videochiamate e messaggi, potei finalmente riabbracciarli. Ricordo anche l’inizio della quinta superiore; non sapevamo nulla, era tutto un punto interrogativo. Fu un inizio pesante e difficile, carico di ansia e dubbi.
Anni come questi, quando sei appena maggiorenne, ti aprono gli occhi su realtà che non avresti mai immaginato di vivere e ti fanno ragionare su cosa conta davvero in una società.
Per saperne di più sul progetto Cronache dal futuro, leggi l’articolo introduttivo in cui Raffaela Mulato racconta questo progetto per dar voce ai giovani.
Cronache dal futuro è anche una proposta che vorremmo rendere virale (e virtuosa). Che tu sia un docente, un educatore o un genitore, proponila ai ragazzi e invitali a inviare i loro scritti e le loro maschere per email a informazione@lameridiana.it. Troveranno spazio sul nostro blog, dove saranno pubblicati insieme alla maschera che li accompagna.