Comprendere gli effetti del distanziamento sociale in età evolutiva: l’esperienza dei gruppi “Parola di bambino”
Nella primavera del 2021 sentimmo l’esigenza di comprendere gli effetti del distanziamento sociale e fisico in età evolutiva. Sapevamo che il trauma aveva lasciato dei segni importanti nella costruzione dell’identità di bambini e ragazzi. Le relazioni interrotte – e poi solamente a tratti ripristinate –, seppur con tante precauzioni, stavano frammentando il senso di sé di un’intera nuova generazione.
Ci domandavamo quindi come conoscere dettagliatamente gli effetti che stava avendo nell’età evolutiva questa lunga deprivazione di rapporti sociali.
Preoccupati, sentimmo l’esigenza di metterci in una posizione di ricerca per capire e studiare i possibili segnali del trauma pandemico sul corpo e sulla mente di bambini e ragazzi.
Un campo di ricerca per comprendere gli effetti del distanziamento in età evolutiva
All’interno della Scuola “Francesco Berto”, aperta da edizioni la meridiana per salvaguardare il patrimonio di una metodologia di lavoro fondata sul saper fare ricerca, sono stati aperti 20 gruppi coordinati.
Sono stati dei gruppi centrati sul compito di capire l’effetto della pandemia sui minori.
Sono stati incontri promossi in tutta Italia.
Sono stati dei dispositivi avviati dopo una lunga e impegnativa individuazione di coordinatori capaci di stimolare e contenere dei processi gruppali fondati sulla lettura della dinamica.
Sono stati luoghi, in presenza oppure on line, gestiti da professionisti desiderosi di unire intervento e ricerca.
Ne abbiamo avviati 13 poiché in alcune situazioni non si è riusciti a far convergere gli adulti educatori dentro all’esperienza, nonostante le campagne promozionali promosse da edizioni la meridiana, la grande attenzione dei media e la ricerca capillare messa in campo dai coordinatori.
Questo è stato il primo “campanello d’allarme”. Gli adulti non volevano riflettere, bensì dimenticare. Una frase ricorrente fu:
«Non ho voglia di pensare al virus, voglio evadere, non mi interessa l’idea di stare lì a vedere come questo periodo ha inciso su mio figlio, il mio alunno, il mio paziente o il mio utente, basta parlare di pandemia per carità…»
Dimenticare, rimuovere, andare oltre non è però un modo corretto di affrontare il trauma poiché sappiamo che ciò che viene scisso e allontanato ritorna e crea disagio, devianza e sofferenza mentale. Il trauma messo fuori della porta prima o poi ritorna a bussare, portando con sé la rabbia della rimozione.
Molti educatori professionali o naturali però dichiararono che non volevano far parte di un gruppo che rifletteva sugli effetti nella crescita dei minori di questi pesanti anni di isolamento. In molti casi non potemmo convincere chi su questa negazione basava la speranza che tutto tornasse alla normalità. E per normalità si intendeva una vita senza la paura del coronavirus. Ci riunimmo con chi, invece, voleva capire l’effetto che aveva avuto e stava ancora avendo il distanziamento fisico e sociale. Figure educative professionali e genitori si sedettero da ottobre 2021 in cerchio coordinati da professionisti capaci di dare ascolto a pensieri non stereotipati.
L’esperienza dei gruppi “Parola di bambino”
Ora, a giugno del 2022, dopo più di 200 ore di incontri in gruppo coordinato, l’esperienza si è conclusa con la sensazione comune di aver toccato la profondità del dolore umano e la forza che dà il condividerlo.
L’impatto emotivo è stato, fin dal primo incontro, coinvolgente, forte, intenso. Stare in gruppo è un’esperienza di cambiamento che non ci si aspetta, abituati a stazionare in collettivi senza pathos. Si diventa gruppo se chi lo coordina lo ha in mente e conosce il modo di costruire una struttura unitaria a partire dai vissuti soggettivi. Fu da subito chiara la differenza tra l’essere gruppo e l’essere individui riuniti in uno stesso luogo. La gratitudine di chi ha partecipato a questo potente scambio affettivo e cognitivo è generosamente affermata da tutti i partecipanti, più e più volte, alla conclusione dei gruppi del progetto.
In mezzo: un processo che ha messo gli adulti educatori in contatto con se stessi e, attraverso se stessi, con i bambini e gli adolescenti di cui si stanno occupando.
All’inizio: reticenze, paure, angosce, rabbie, dolori, disperazioni, ansie e disorientamento apparvero nei partecipanti che pure stavano conducendo vite regolari. Erano sentimenti che provenivano dal passato, sepolti per non venirne sopraffatti. Ma erano anche vissuti personali che lasciavano poca disponibilità all’ascolto dei più piccoli. Se l’adulto sta male, infatti, non può far spazio alle difficoltà del bambino o del ragazzo. Il piccolo lo sente e avverte che non deve esprimere le sue ambasce per non destabilizzare i suoi adulti di riferimento. Allora si adatta, tace, sparisce. Il bambino diviene trasparente. L’adolescente si chiude dentro di sé. Il giovanetto si procura in segreto del dolore per esistere.
Di fronte al sentirsi portatori di morte i piccoli hanno espresso il loro dramma psichico. È emersa la paura relazionale. I ragazzi hanno dichiarato la necessità di provare del dolore per sentirsi vivi tagliandosi e compiendo atti di autolesionismo. I giovani si sono chiusi in cripte sigillate. Il suicidio di un adolescente durante il percorso del gruppo “Parola di Bambino” ha messo al centro del pensiero come, se non parliamo con loro del senso della vita, anche con le sue difficoltà, i suoi limiti, i suoi dolori, i giovani possono trovare nel morire una risposta. Uccidersi fisicamente o psichicamente è per bambini e per gli adolescenti il vero tragico strascico della pandemia. Sappiamo che vi è un incremento del 30% di richieste d’aiuto arrivate con urgenza ai servizi di neuropsichiatria. Non possiamo fare finta di nulla.
Dietro ad un apparente mondo minorile competente, adeguato, adattato c’è quindi un mondo di solitudine silente. Non aspettiamo la tragedia per entrare nel loro mondo emotivo: i sentimenti e le emozioni non espressi rimangono inabissati, dimenticati, rimossi. I vissuti non elaborati nella narrazione condivisa stazionano nel mondo interiore e disturbano le profondità dell’anima. L’inconscio ne rimane turbato e inizia da lì a mandare i suoi segnali. I sintomi.
Il malessere di grandi e piccoli
Sedersi in cerchio e divenire un gruppo dialogante ha quindi dato parola ai vissuti interiori degli adulti lasciando spazio, via via, a quell’ascolto interiore che prima veniva negato ai più piccoli. I gruppi sono stata la possibilità degli adulti di sentir accolta la propria sofferenza durante il processo gruppale, che ha permesso a questi grandi di mettersi in ascolto dei piccoli. E ogni bambino ha trovato modo di raccontare a madri, padri, docenti, operatori e professionisti della cura della mente la sua drammatica situazione interiore.
Nei gruppi “Parola di bambino” sono emersi gli atteggiamenti di evitamento relazionale dei neonati venuti al mondo in era pandemica; il terrore di contagiare e far morire i nonni dei bambini della scuola primaria; l’angoscia del corpo a corpo nei preadolescenti spaventati dai loro primi baci con il virus killer in giro; il desiderio di evitare l’esterno nei giovani che si sono chiusi nel loro criptico ritiro sociale. E in tutti abbiamo osservato un incremento della sofferenza relazionale in misura spesso proporzionale al malessere dei loro adulti educatori.
Prendersi cura degli adulti in gruppo ha dunque significato restituire ai bambini e ai ragazzi delle figure educative più salde, competenti, sensibili, disponibili, consapevoli.
La dispersione scolastica ha evidenziato inoltre che la casa dei bambini e delle bambine – una volta chiusa – ha abbandonato i suoi abitanti meno capaci di ritrovare la strada per farvi ritorno. Si è sognata una nuova casa dei bambini dove apprendere parta dallo stare insieme, dallo scambio di idee, dalla narrazione senza giudizi. Gli adulti lo hanno desiderato per i piccoli, vivendolo loro stessi nel gruppo di “Parola di bambino”.
Interrogativi aperti
Molti interrogativi rimangono aperti.
Quanta sofferenza rimane dietro a una presunta ripresa di una vita come quella che si conosceva prima della pandemia? Quanto il desiderio che nulla sia successo in questi anni di convivenza con il covid-19 nega al bambino la possibilità di elaborare i suoi vissuti? Perché gli adulti non si fanno maggiormente carico di quello che sentono i bambini?
Abbiamo condiviso l’idea di un “adulto in pezzi” che va aiutato a ricostruirsi. Abbiamo fatto nostra, all’interno dei gruppi di discussione, la metodologia di lavoro di Francesco Berto: lasciare spazio alla filosofia del bambino mettendosi in ascolto di quello che ha voglia di raccontare e dando importanza alle sue narrazioni.
Le preziose affermazioni raccolte da Berto nel libro “Parola di bambino. Il mondo visto con i suoi occhi” (edizioni la meridiana, 2013) hanno dunque stimolato i partecipanti a mettersi nei panni dei bambini, a dare importanza al loro bambino interiore e a sintonizzarli affinché si strutturassero relazioni che potessero riparare il trauma.
Il processo arrivato a conclusione ha dimostrato la potenza del gruppo nel cucire legami di solidarietà, vicinanza emotiva, attenzione al prossimo. Riannodare i legami dunque si è mostrato un efficace antidoto alla deriva relazionale che la pandemia ha innestato. Fare gruppo come spazio per comprendersi è stato il compito di tutti quelli che hanno collaborato alla riuscita di questo progetto. Connettersi con l’altro per arricchirsi dell’alterità è stata la mission condivisa.
Siamo riusciti a stanare emozioni per rivestire sentimenti. Abbiamo osservato la potenza del produrre pensieri per contenere stati d’animo. Abbiamo riscontrato come sia utile condividere vissuti per uscirne più forti e sicuri.
Questa è stata l’esperienza dei gruppi “Parola di bambino”. Poco narrabile, come tutte le esperienze soggettive, ma sicuramente custodita per sempre nella mente di chi vi ha partecipato.
Un partecipante alla conclusione del gruppo afferma:
«Si è percepita compiutezza o meglio pienezza nell’aver sentito un gruppo nascere, alimentarsi e prepararsi per stare nella realtà così com’è. Grazie.»
Ora riflettiamo come coordinatori sui dati processuali mettendoli a disposizione di tutti da ottobre 2022. Continueremo così la nostra ricerca, perché stiamo dalla parte dei bambini e dei ragazzi impegnandoci a essere la loro voce narrante.
a cura di Paola Scalari
Paola Scalari è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista ed esercita a Venezia. Docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia e supervisore alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG Istituto di Milano e di Tecniche di conduzione del gruppo operativo nella consociata ARIELE Psicoterapia di Brescia. Da anni è consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe di associazioni, enti ed istituzioni che operano nei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Se vuoi saperne di più sui gruppi “Parola di bambino” consulta questo link.
Immagine: tratta dalle illustrazioni dei bambini pubblicate in Parola di bambino. Il mondo visto con i suoi occhi di Francesco Berto e Paola Scalari.