Dipendenza 2.0: come l’attaccamento alla tecnologia diventa malattia
A cura di Laura d’Orsi, giornalista.
Si era chiuso in bagno e non voleva più uscirne perché la mamma, dopo 12 ore ininterrotte di videogiochi, aveva staccato il collegamento con la console. E così il ragazzino milanese, che era stato a casa da scuola quel giorno per un improbabile malessere, si è visto arrivare a casa una volante della Polizia, chiamata dalla madre stessa esasperata dal comportamento del figlio.
Dottoressa Scalari si può davvero arrivare a tanto per quello che dovrebbe essere un passatempo?
Sì, perché in questo caso non si tratta più di un’attività ludica, ma di una vera e propria dipendenza. Il ragazzino, che sicuramente aveva già mostrato in precedenza i sintomi di questa patologia, ha dapprima trovato il modo di rimanere assente da scuola perché per lui il gioco era diventata la cosa più importante, poi ha reagito in modo esagerato quando gli è stato tolto. Come se fosse stato in astinenza, incapace di ragionare.
Oggi la maggior parte degli adolescenti passa molte ore davanti a uno schermo. Pc, tablet, telefonino, videogiochi sono ormai entrati in ogni casa. Significa che i ragazzi sono tutti a rischio dipendenza?
No, perché come avviene per qualsiasi altra forma di dipendenza (alcol, droga, gioco, ecc.) ci vuole un terreno fertile perché si instauri. Significa avere una fragilità personale che porta a utilizzare questi strumenti per non affrontare i veri problemi. Andando un po’ più a fondo, il videogioco permette di identificarsi in un eroe, Facebook, con il meccanismo dei like, rafforza un io debole, la chat consente di apparire come si desidera. Sono tutti mezzi che danno l’illusione di rafforzare un’identità fragile.
Qual è allora il discrimine tra un semplice passatempo e la dipendenza?
E’ la differenza che passa tra i termini “usare” ed “essere risucchiati”. Nel primo caso è utilizzare uno strumento per divertirsi, anche per diverso tempo, ma saper smettere senza andare in crisi. Diventa dipendenza quando si è succubi di quel mezzo, quando gli si dedica qualsiasi spazio libero senza rendersi conto del tempo che passa. Tutto il resto perde d’importanza, compresi i rapporti con i coetanei.
Si tratta di una forma di dipendenza diversa da quella da sostanze? E’ meno pericolosa?
No, gli studi hanno evidenziato che si attivano gli stessi circuiti neuronali. I sintomi sono gli stessi, comprese le crisi di astinenza. Certo, nella dipendenza da internet o videogiochi non ci sono i rischi sul corpo che comporta l’uso di sostanze stupefacenti o di alcol. Ma l’effetto principale, cioè l’estraniazione dalla realtà, non è meno pericoloso per una mente ancora in formazione.
Cosa si può fare per prevenire questa dipendenza?
Come sempre, educazione è la parola chiave. Significa non lasciare soli i bambini davanti al pc, ma accompagnarli sempre all’uso dello strumento, utilizzarlo insieme. E vigilare su cosa fanno davanti al video, facendo in modo che non sia una comoda baby sitter, ma proponendo sempre attività e stimoli alternativi.
Come comportarsi quando si sospetta che la dipendenza sia già in atto? Funzionano le maniere forti a cui è ricorsa la mamma chiamando la Polizia?
Se il problema si è manifestato, bisogna ricorrere alle cure di un neuropsichiatra perché, come si diceva, alla base sono presenti altri problemi da risolvere. In ogni caso non è vantaggioso utilizzare metodi coercitivi, che possono sortire l’effetto opposto. Proibire si è sempre rivelato un fallimento contro le dipendenze: aumenta il senso di sfiducia e ribellione degli adolescenti. Il che, se mai, li porta a trasgredire di più. La reazione della mamma del ragazzino è stata dettata dall’impotenza e dalla sofferenza. Ma in questi casi funziona meglio la ragionevolezza e soprattutto chiedere aiuto.
Paola Scalari
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Paola Scalari è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista ed esercita a Venezia. Docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia e supervisore alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG Istituto di Milano e di Tecniche di conduzione del gruppo operativo nella consociata ARIELE Psicoterapia di Brescia. Da anni è consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe di associazioni, enti ed istituzioni che operano nei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Per approfondire il tema leggi Genitori 2.0. Educare i figli a navigare sicuri di Giuseppe Maiolo (2017).