Lettera aperta a un insegnante di Francesco Berto
Carissimo insegnante,
mi hai chiesto di aiutarti a capire il malessere, cioè il disordine mentale e l’inquietudine emotiva, che circolano nella tua classe. Ci provo.
Comincio subito con il deluderti poiché il disagio dei bambini e dei ragazzi non si può né eliminare né cancellare né tanto meno togliere. E lo sai il perché?
Perché il disordine mentale che pervade i comportamenti aggressivi e provocatori degli alunni fa parte integrante del loro percorso di crescita. Perché l’inquietudine emotiva che percepisci in ogni allievo è collegata alla sua fatica di diventare grande.
Ogni bambino, infatti, per crescere, si trova costretto ad attraversare dei momenti di disequilibrio che gli sono necessari per poter transitare da un grado di maturità a quello successivo. E ogni volta che passa da uno stadio all’altro si trova a dover “ridefinire la sua identità”. È proprio questa continua definizione del proprio Sé che è contrassegnata da disagi, disordini e inquietudini.
Ogni tuo alunno per crescere ha bisogno di cambiare continuamente, e questo suo incessante evolversi, questo suo continuo passaggio da una posizione mentale a un’altra, lo squilibrano costringendolo ogni volta a ricercare un nuovo e diverso bilanciamento.
Se crescere è un trasformarsi inarrestabile che non lascia certamente tranquilli, cosa significa allora promuovere agio e benessere nei tuoi alunni? Per me vuol dire che, tu per primo, devi entrare in contatto con i tuoi disagi e i tuoi malesseri se vuoi aiutare anche i tuoi alunni a ricercare questo contatto con le sofferenze derivate dai loro disagi e dai loro malesseri. Ecco allora che la forma riflessiva del verbo raccontare diventa un’importante, e spesso unica, modalità narrativa che può portare a una trasformazione.
Raccontarsi significa infatti narrare di se stessi a se stessi. Per narrarsi però, bisogna essere passati prima per l’esperienza di essere stati ascoltati e raccontati da qualcuno che sapeva parlare a se stesso.
Torna con la memoria ai momenti cruciali dello sviluppo affettivo, emotivo e cognitivo di ogni bambino e ragazzo. Raccontati di quel periodo della vita che impone a tutti i bimbi di lasciare il rassicurante seno materno con il suo latte caldo obbligandoli ad accettare cucchiaini freddi e duri, sapori aspri e forti, cibi sempre più nuovi e sempre più consistenti. Raccontati del bimbo che cerca di staccarsi dal suo gattonare per poter procedere in piedi.
Narrati delle trepidazioni dei piccoli quando si trovano costretti a lasciare le rassicuranti braccia materne e il tepore familiare per andare verso le braccia estranee delle educatrici del nido o delle maestre della scuola dell’infanzia. Narrati dei patemi d’animo del bambino prima e del ragazzino poi, nel loro trovarsi di fronte a sempre nuovi impegni di studio, a sempre nuovi apprendimenti da assimilare, a sempre nuovi insegnanti da conoscere. E puoi continuare descrivendoti le angosce del ragazzino che, dovendo lasciare l’infanzia per avventurarsi verso l’adolescenza scopre definitivamente, e spesso anche traumaticamente, di essere maschio o femmina.
Quante paure ha dovuto affrontare! Sono tutti momenti di profonda difficoltà e di inevitabile crisi poiché implicano, per tutti, l’abbandono di sicurezze precedentemente conquistate con fatica e sudore per potersi inoltrare verso nuove conquiste e nuove sicurezze altrettanto faticose da raggiungere.
Come potrebbero allora i bambini e i ragazzi essere privi di ansia? E poco importa se esprimono questa loro angosciosa apprensione attraverso il continuo muoversi. Il crescere chiede continuamente e incessantemente ai bambini delle evoluzioni. Evolvere significa andare verso l’ignoto, e andare alla scoperta di ciò che non si conosce crea inevitabilmente dei timori. Nella strada della vita, infatti, si può camminare solo se si trovano dei nuovi equilibri.
E l’equilibrio non è mai una situazione statica e definitiva, bensì un continuo e incerto movimento anche per i genitori e per gli insegnanti. Se tutto questo te lo sei dimenticato, io non posso dirti più nulla. Come potrei infatti suggerirti di ricercare il significato del disagio se non sei disposto a lasciare le tue sicurezze?
Se invece ti riconosci in questa fatica dell’apprendere, cioè del cambiare, possiamo continuare a esplorare la realtà. È proprio il riconoscimento di questo tuo travaglio che ti permette di capire meglio quello dei tuoi alunni e delle loro famiglie.
La paura dell’ignoto, di quello che non si conosce, non termina mai. Ognuno di noi può solamente dotarsi di un equipaggiamento più o meno solido per affrontarla. È il tuo desiderio di offrire anche ai tuoi alunni e alle loro famiglie questo bagaglio che permette a tutte e tre le componenti del processo educativo e formativo – insegnante, allievo e genitore – di affrontare insieme questo cammino.
Potresti dirmi che sei sempre preoccupato, qualche volta anche disorientato, spesso addirittura sfiduciato, nel comprendere se puoi o non puoi essere d’aiuto ai tuoi alunni e alle loro famiglie. Sono stati d’animo che fanno parte della tua crescita, anche di quella professionale. È quindi impossibile evitare la sofferenza e l’inquietudine che alunni e genitori ti creano.
Solamente se dentro di te hai imparato a convivere con l’incertezza e il dubbio puoi insegnare ad affrontarli.
L’instabilità emotiva è dunque il prezzo che ogni individuo deve pagare per progredire. Sono allora la stereotipia e la rigidità che creano il disagio e il malessere. Sono invece la mobilità e il cambiamento che creano l’agio e il benessere.
Ecco quindi che per accompagnare i tuoi allievi nel loro crescere, devi prima accettare che tutti vivono delle difficoltà, dei disagi e delle inquietudini nell’affrontare le trasformazioni evolutive tipiche della loro età.
Capisco che l’idea che i tuoi ragazzini siano impauriti ti turba. Essi, però, proprio perché sono attratti dalla fantasia di poter controllare il mondo, cioè la realtà, si spaventano tutte le volte che scoprono che questi loro desideri sono impossibili da realizzare. Devono quindi attraversare i dolori della crescita, come mi confidava un bambino, per scoprire che vivere bene significa sia rinunciare all’idea di far andare il mondo come lo si desidera sia considerare gli altri come un prolungamento di se stessi.
Accetta allora i tuoi turbamenti come parte non eliminabile della tua tensione a comprendere quello che sta succedendo in classe.
Non è che vali meno perché ti senti inadeguato, provi apprensione, temi l’insuccesso e non sai più a che santo votarti. Saresti più fuori luogo se ti pensassi perfetto, se credessi che si può avere la risposta giusta a tutto, se ti ritenessi uno con la verità in tasca, se ambissi a vivere senza rischi, a educare senza incertezze, a far apprendere senza dubbi.
Nemmeno i tuoi alunni sono allora strani solo perché hanno paura di non farcela a diventare grandi. La crescita è dura, ma è anche affascinante. Solo se ne sei convinto puoi aiutare i tuoi ragazzi a non scappare dalle delusioni della vita e ad accettare invece le inevitabili frustrazioni che esse arrecano. Non è infatti la sicurezza che crea benessere, bensì la capacità di reinventarsi la vita creativamente quando s’inciampa, si cade, s’incontrano delle difficoltà.
Adesso il tuo compito è quello di sostenere i tuoi alunni nel loro percorso evolutivo per fare in modo che non si ritirino e non fuggano di fronte a ciò che li impaurisce e li fa star male. Ti racconto di una maestra dell’asilo che, non sopportando che i suoi bimbetti potessero farsi del male, ha pensato di foderare di gommapiuma tutti gli angoli e le sporgenze della sua aula. Si sentiva così sicura e fiera. Matteo però ha infranto subito questo suo sogno perché mentre rincorreva un compagno è andato a sbattere proprio sulle ginocchia della maestra, che non erano ovviamente foderate, procurandosi un profondo taglio sul mento.
Questo aneddoto mi porta a parlare dei tuoi ragazzi. So bene che ti impressionano di più i comportamenti di Maicol, sempre irrequieto e aggressivo, di quelli di Martina che se ne sta invece buona e silenziosa nel suo banco.
Ti chiedo: “La bambina non potrebbe soffrire più del compagno?”. E la tua risposta potrebbe essere la consapevolezza che il disagio si può esprimere in forme diverse, anche standosene calmi e buoni al proprio posto. So bene che alcune modalità dei ragazzi di comunicare la loro inquietudine ti irritano più di altre.
Ti domando: “Non è che la differenza sta proprio nel modo in cui tu le vivi queste loro inquietudini?”.
Ti chiedo: “Non è come se tu classificassi il disagio dei ragazzi in base a quanto esso ti scombussola?”.
Ti pare allora possibile che il malessere di un tuo alunno sia più o meno grave di quello di un altro a seconda di quanto ti turba?
Nel caso di Maicol e Martina hai stabilito che il disagio dei maschi che ti “rompono” di più è maggiore di quello delle femmine che invece ti “rompono” di meno. Non ti sembra un giudizio a dir poco azzardato? Fai quindi attenzione a non essere sordo e cieco di fronte alla sofferenza che ti esprimono attraverso un eccessivo adeguamento alle tue aspettative. Pensa che questi alunni hanno rinunciato a essere se stessi per farti contento. E il farti contento non è l’espressione della loro paura di non essere accettati e amati se cercano di distinguersi, di differenziarsi dall’idea che tu hai di loro? E non è questo un importante indizio per chiederti se il loro è un vero o un falso Sé? Lo sai a quanta sofferenza va incontro quel ragazzino che, per compiacenza o paura o ancora per bisogno d’approvazione e di accettazione, è disposto a indossare i panni del bravo ometto pur di ottenere accoglienza e affetto?
Allora, ti prego, non fermarti alle apparenze. Il più delle volte esse ingannano. Se ti lasci infatti fuorviare dai segnali più eclatanti finirai poi per non vedere veramente i tuoi alunni. Lascia invece che si mostrino e interrogati piuttosto su ciò che ti fanno conoscere di loro stessi. Questa è la strada che io ho percorso per affrontare il mio disagio, prima di tutto, e poi quello dei bambini, dei ragazzi e dei loro genitori.
Lo so che vorresti parlarmi di Jessica che non sta mai attenta. Pensa: “Non potrebbe essere che dietro alla sua distrazione ci sia invece la richiesta che tu sia più sollecito verso di lei?”. So anche che ti piacerebbe raccontarmi di Piero che non porta mai a termine i suoi compiti. Chiediti: “Non è che lasciando incompiuto il suo lavoro vuole farmi sapere che non ha il coraggio per potersi mettere alla prova fino in fondo?”. Capisco pure che vorresti dirmi di come Mattia ti sfida a tal punto da esasperarti e da costringerti a disfartene mandandolo fuori dall’aula o sospendendolo addirittura dalla scuola. Domandati: “Non è che questa peste di ragazzino voglia comunicarmi che ha paura di essere un alunno rifiutato? Non è che si fa rifiutare realmente per liberarsi così dall’ansia che gli crea il timore del disconoscimento?”.
Nei tuoi pensieri c’è anche Manuel con i suoi continui malanni. Anche qui potresti chiederti: “Non è che il suo combinare guai sia il suo modo per catturare l’interesse verso di lui o quello dei compagni che lo snobbano e lo rifiutano?”. E, visto che ti sei reso conto che Manuel è un figlio trascurato in famiglia, non ti sembra che abbia quindi molto bisogno di attenzioni? Mostragli che lo accetti. Se gli farai sentire che hai verso di lui un autentico interessamento, probabilmente, il ragazzo non avrà più bisogno di strappartelo con i suoi malanni.
Lo sai che, alle volte, è meglio un insegnante che grida e urla in continuazione: “Manuel fermo! Manuel stai seduto al tuo posto! Manuel non toccare! Manuel bastaaaa!”, che un insegnante che non ti nomina mai? Credo che Manuel ti provochi proprio per sentirsi nominato, per vedere cioè se sei capace di occuparti di lui.
A me piacerebbe che guardassi con più attenzione sia Lucia, che se non fa tutto giusto e non prende il massimo dei voti piange disperatamente, sia Irene che deve sempre alzare la mano per parlare, quasi non riuscisse a tenere le idee ferme nella sua mente e dovesse sempre metterle fuori. C’è pure Gabriele, che è capace di sbagliare tutta la verifica, pur di finirla per primo e ancora Alice che è sempre con la testa tra le nuvole perché, visto che questo mondo non le piace, se ne sta creando uno a sua misura.
Ogni tuo ragazzino ha dunque il suo disagio. Sta a te scoprire in che maniera lo esprime e trovare il modo per impedire che si cristallizzi dentro di lui. Se adesso s’incrosta, sarà poi molto difficile modificarlo. Tutti questi atteggiamenti critici possono essere passeggeri.
Il poterli allora affrontare con tempestività può permettere a ciascun ragazzo di trasformare i suoi disagi in comportamenti più maturi. È allora tuo il compito di aiutare ogni alunno a non fissarsi nel suo modo di esprimere il dolore. E questo lo aiuterà a superarlo.
È nell’età evolutiva che il mondo interno è ancora così mobile da permetterci di incidervi con maggiore possibilità di successo. Le emozioni in questa fase della vita sono ancora in via di sviluppo e, se tu sei capace di comprenderle, potrai sostenere i ragazzi nella loro maturazione. Lascia quindi che le loro paure ti tocchino veramente.
Non difenderti con pensieri stereotipati del tipo “questo ragazzo è cattivo, quello è un buono a nulla, quella sì che è brava, quell’altra invece è una lavativa, quello lì è una peste, meglio perderlo che trovarlo…”. Fai in modo che la loro paura risuoni dentro di te, accoglila con curiosità e prova a pensare al significato dei vissuti che i tuoi alunni sanno suscitarti. Lo so che è difficile.
Nella vita, però, nessuna cosa importante è facile da raggiungere. Allora se ti senti motivato ad aiutare i tuoi alunni a superare i loro disagi, non puoi far altro che affrontare questa fatica.
Lo sai bene che i ragazzi non comunicano tanto con le parole quanto invece con i loro modi di fare, di giocare, d’imparare. Osserva attentamente il loro modo di agire e chiediti: “Perché adoperano queste modalità per interagire col mondo?”. No, non devi spiegarlo, solo chiedertelo. Lascia quindi che nella tua mente prendano forma i pensieri nati da questo interrogativo.
Sono proprio questi tuoi nuovi pensieri che possono arricchire di significato ciò che vedi. Per farlo puoi aiutarti con le immagini che i comportamenti dei tuoi alunni ti evocano. Puoi ricorrere ad associazioni con una fiaba o con un film che, per assonanza, ti richiamano alla memoria sentimenti simili a quelli che sta vivendo quel tuo alunno. Puoi evocare anche i ricordi di te stesso ragazzino, oppure puoi utilizzare la tua esperienza quotidiana di rapporto con gli altri.
Ciò che prende forma nel tuo mondo interno è sicuramente collegato a quello che quel tuo alunno ti vuole comunicare. I ragazzi sanno mobilitare dentro di te questi pensieri. Basta solo accoglierli. Basta che ti ascolti per poterli ascoltare. Basta che tu pensi ai tuoi ragazzi per insegnare loro a pensare.
Ed è proprio la capacità di produrre pensieri che ci prepara ad affrontare le difficoltà della vita. Di fronte agli inevitabili ostacoli dell’esistenza è il nostro poterci fermare a riflettere, a pensare, a inventarci nuove e inedite soluzioni che ci dà la forza di non ritirarci in mondi illusori che ci isolano come dentro a una bolla di sapone.
Il mondo delle illusioni, inevitabilmente, attira tutti. In esso, infatti, si può ottenere facilmente ciò che si desidera, si può immaginare di essere migliori di quello che si è, si può fantasticare di far fare agli altri ciò che si vuole, si può dominare il mondo, si può non dipendere da nessuno. Ma è un mondo illusorio e, proprio per questo, crea disagio. Il rifugiarsi in un mondo irreale, allora, non permette d’incidere sulla realtà e allontana sempre di più dalla possibilità di affrontare le difficoltà della vita.
Se tu invece accetti di vivere realisticamente, i tuoi alunni accetteranno, a loro volta, la loro realtà di ragazzi ancora piccoli, limitati, umani. È vero che il limite crea sofferenza, ma è proprio la capacità di fare i conti con i limiti che aiuta ad affrontare l’esistenza entro i suoi confini reali. E, tornando ai tuoi alunni, è attraverso questo percorso che Manuel può acconsentire di non essere sempre al centro delle tue attenzioni, che Mattia diventa capace di accettare la frustrazione di un rifiuto che non è né diniego né disconoscimento, che Lucia impara a fare i conti con qualche insuccesso che non è sconfitta definitiva, che Gabriele si rassegna al fatto che non può essere sempre il primo, che Alice accetta di convivere anche con le cose che non le piacciono.
Voglio adesso offrirti un’immagine che mi è stata molto utile per poter comprendere i bambini e i ragazzi.
Quando i tuoi alunni fanno risuonare qualcosa dentro di te:
• dapprima fermati;
• poi guarda dentro la tua mente. Essa è come un bosco. Inizialmente, nella penombra, ti sembra di non vedere nulla;
• non ritirarti;
• inoltrati invece con coraggio;
• lascia che nella penombra prendano via via forma i confini delle cose che lo popolano;
• vai avanti;
• persevera;
• non tornare indietro.
Il mondo emotivo dei tuoi ragazzi è come quel bosco. Se ti soffermi con pazienza sui sentimenti che i tuoi alunni ti suscitano, li riconoscerai. Comincerai così a vedere davanti a te un mondo pieno di vita. Se poi ti appassioni al groviglio del sottobosco troverai e riconoscerai coloro che lo popolano. Saprai dare nomi a ciò che i ragazzi ti fanno sentire. Negli angoli della tua mente, proprio in quelli più oscuri, incontrerai quegli stessi vissuti.
Anche tu infatti conosci l’aggressività dettata dalla paura di non poter possedere l’altro. Conosci la rabbia che deriva dall’impotenza. Conosci quel continuo lamentarsi che serve a tenere qualcuno appiccicato a te. Pure tu hai indossato quella dura corazza per non farti toccare dalle cose che ti facevano male. Ti sei servito di quella petulanza vischiosa che impediva agli altri di staccarsi da te. Hai provato la rivalità che si fa strada per essere più amati, la gelosia che s’insinua per chi ti sembra abbia più di te, l’invidia che distrugge piuttosto di sopportare di non avere le cose che l’altro possiede.
L’aggressività, la paura, la rabbia, l’impotenza, la petulanza, la gelosia, la rivalità, l’invidia sono sentimenti di tutti. È solo la loro quantità che può essere diversa. Ma tu sei grande, sei un educatore e di tutti questi sentimenti possiedi pertanto un’esperienza sufficiente per capire cosa sta accadendo a quell’alunno che ha riversato dentro di te le sue emozioni perché era per lui intollerabile provarle da solo.
Saprai così che la rabbia che ti crea Manuel, l’ansia che ti procura Alice, l’odio che ti trasmette Mattia, il terrore che ti passa Lucia rappresentano i sentimenti che questi tuoi scolari ti chiedono di provare perché tu possa capire quello che stanno vivendo e possa ritornarglieli arricchiti di significati. È una responsabilità che può impaurirti e turbarti, ma l’educare è pieno di preoccupazioni che servono per potersi occupare dell’altro. Se hai scelto questo mestiere, adesso non puoi sottrarti allo sforzo che esso richiede. Non giustificare perciò il tuo senso d’impotenza verso il disagio dei tuoi alunni con quello che i ragazzi vivono in famiglia. Se ricorri alla responsabilità dei genitori è solo per conservare la tua onnipotenza.
Ed ecco entrare in campo le famiglie dei tuoi alunni. No, non occorre che parli. So già quello che vuoi dirmi. Vuoi farmi sapere che puoi fare tutto questo per i tuoi bambini, ma poi vanno a casa e lì disfano tutto. Vuoi informarmi che con le madri e i padri che ti ritrovi il tuo lavoro diventa inutile. Vuoi che mi convinca che il tuo sarebbe tutto fiato sprecato. Vuoi farmi capire che sono i genitori a dover cambiare, non gli insegnanti.
Perché invece di pensare a quello che dovrebbero fare madri e padri non pensi a quello che puoi fare tu? Sarebbe già molto per i tuoi alunni poter incontrare un educatore attento a quello che veicolano i loro sentimenti e le loro emozioni, capace cioè di comprenderli. E proprio questo tuo atteggiamento potrebbe mettere dentro ciascun ragazzo delle risorse umane che poi lo accompagneranno per tutta la vita. Non pensare quindi a raddrizzare la famiglia. Offri invece ai tuoi alunni tutto quello che sai e che puoi. Qualcosa però devo pur pensare e comunicarti rispetto ai genitori della tua classe.
Lo so bene che ti fanno irritare, che ti deludono continuamente, che non riesci a giustificare nessuno dei loro comportamenti. Ma se fossero diversi, i loro figli non sarebbero come sono. Madri e padri sono così come sono e non serve proprio a nulla che tu dica loro che sono sbagliati e che dovrebbero essere diversi.
Non fermarti però all’evidenza.
È vero che non vengono alle riunioni e tanto meno ai colloqui. È anche vero che qualcuno non si presenta nemmeno a ritirare le schede di valutazione. È pure vero che non si preoccupano che il figlio arrivi a scuola con tutto l’occorrente. È altrettanto vero che non controllano se il ragazzo ha svolto tutti i compiti per casa. Ed è infine vero che non fanno niente per indurre il figlio a rispettare l’obbligo scolastico.
E lo sai perché questi genitori ti irritano più degli altri? Perché mettono in dubbio, svuotano cioè di significato, il tuo ruolo professionale. Ma questo è un tuo problema.
Non è detto che se padri e madri si comportano così siano, automaticamente, dei genitori meno capaci di occuparsi del figlio. Anche queste mamme e questi papà hanno le loro difficoltà, vivono i loro disagi, sono immersi nella loro paura di sbagliare, ma, a modo loro, amano i loro figli. Forse si sentono troppo giudicati proprio da te ed è per questo che si allontanano sempre di più dalla scuola. Metti allora l’ascolto al posto del giudizio. Metti cioè la comprensione al posto della colpevolizzazione.
Se non serve a nulla dir loro che sono sbagliati, può invece servire moltissimo il restituire loro la possibilità di chiedersi il perché dei comportamenti del figlio. Riattivare la curiosità del genitore verso il ragazzo può infatti facilitare il rapporto tra i tuoi alunni e le loro mamme e papà. A tutti piace infatti conoscere il proprio figlio. A nessuno invece piace sentirsi dire cose negative sulle persone importanti della sua vita. E i figli sono sempre importanti per i loro genitori.
Evita quindi di scaricare sulle mamme e sui papà degli allievi la tua frustrazione per l’alunno che non impara, non ti ubbidisce e ti richiede tanto impegno. Non puoi quindi versare la tua preoccupazione sui genitori.
Alle volte la riluttanza delle madri e dei padri a parlare con te è dettata solo da un loro legittimo difendersi da denigrazioni e svalutazioni. È allora la condivisa curiosità verso il figlio che, ridando centralità al ragazzo, porta a evitare contese e dispute tra scuola e famiglia. L’alunno si sentirà allora più tranquillo poiché avrà una mamma e un papà e un insegnante che si occupano “tutti insieme” di lui. E questo a ogni ragazzo fa bene.
Presta però ascolto anche ai genitori che ti sembrano tanto presenti nella vita del ragazzino. Alle volte questa loro continua attenzione al figlio deve diventare proprio disattenzione. Infatti troppi genitori vogliono vivere sui banchi di scuola al posto dei figli. Si interessano troppo e con troppa invadenza della vita scolastica dei loro bambini. Aiutali ad avere altri interessi e allevia il loro senso di colpa se non si danno tanto da fare per la scuola.
Sono genitori che hanno bisogno di essere rassicurati che sono bravi anche se non si interessano di quante pagine ha scritto il figlio quel giorno, a che capitolo di storia è arrivato, a quale parte del program- ma si sta dedicando l’insegnante.
Occuparsi dei genitori dei propri alunni è inevitabile poiché i disagi dei ragazzi sono frutto di quei contesti umani che hanno contribuito a farli essere ciò che sono. Puoi interagire però con mamme e papà solamente se ti senti riappacificato con le tue figure genitoriali. Se sei ancora arrabbiato per come i tuoi genitori ti hanno educato, è meglio che lasci perdere. Per occuparti del contesto relazionale del ragazzo devi prima liberarti dall’aspettativa che i genitori siano come tu li vuoi.
Questo è un residuo delle tue pretese infantili che si aspettavano un papà e una mamma corrispondenti ai tuoi desideri. Crescendo hai capito che anche loro sono esseri umani con tutte le loro fragilità e debolezze.
Se vuoi occuparti dei genitori dei tuoi allievi devi allora sgombrare la tua mente dall’idea di un genitore perfetto e avvicinarti alle mamme e ai papà come a uomini e donne con le loro difficoltà. Anche loro sono stati figli e allievi.
A questo punto mi pare che siamo arrivati a pensare che ogni ragazzo, nelle sue relazioni educative, è esposto a rapporti che possono aumentare il suo disagio o che possono contrastarlo. Il disagio è allora creato dai contesti emotivi nei quali è immerso ogni ragazzo. Ma le relazioni, se creano disagio, sono anche quelle che possono curarlo.
Fai allora in modo che il tuo rapporto con la classe e le famiglie non ampli i disagi bensì li accolga, li comprenda e li restituisca arricchiti di significato.
Questo aiuta a divenire più tolleranti con se stessi e perciò fa bene. Ti auguro buon lavoro.
Francesco Berto
Francesco Berto, già insegnante, ha collaborato all’apertura delle prime scuole a tempo pieno della provincia di Venezia e del servizio di consulenza genitori dei Centri Età Evolutiva del Comune di Venezia. È stato docente esperto di studi sociali e consulente familiare, scrittore e formatore, oltre che socio di Ariele Psicosocioanalisi di Milano. Si è dedicato per anni alla formazione degli operatori sociali e dei consulenti educativi. Per edizioni la meridiana, è stato autore di uno svariato numero di pubblicazioni a tema educativo, sfogliabili a questo link.
La Lettera aperta a un insegnante è un estratto dal libro “A scuola con le emozioni. Un nuovo dialogo educativo” curato da Paola Scalari (edizioni la meridiana, 2012).
Immagine: di Alice Dietrich su Unsplash