Rinunciare all’economia della crescita: la filosofia dell’abbastanza per il futuro
Dopo quasi due mesi senza mettere naso fuori di casa e avendo la fortuna di trascorrere tanto tempo col mio bimbo di quattro anni, rallentando, abbiamo cominciato a chiederci, io e lui, cose importanti. Tra le tante, di recente ci siamo imbattuti in questa: siamo davvero felici?
La risposta è stata “si”, perché siamo una famiglia unita e in salute, perché abbiamo quanto basta per giocare e possediamo come tutti una cosa straordinaria che è l’immaginazione.
La filosofia dell’abbastanza: meno ricchezza materiale, più comunità
Oggi più che mai abbiamo scoperto che nonostante il messaggio ossessivo della tv dica il contrario, quello che ci occorre per essere felici lo possediamo già. Molti considerano la Rivoluzione Industriale la cosa migliore che potesse capitare. Siamo convinti che il consumismo sia il picco più alto della civiltà e questo, poiché ci viene ripetuto all’infinito, finiamo per crederlo vero.
La domanda che dovremmo porci è però un’altra: la civiltà della crescita industriale sta distruggendo il pianeta e per cosa? Per chi? A che scopo? La cultura consumistica crea un malessere spirituale, aumenta le differenze sociali, distrugge le risorse del pianeta.
Ritengo che una volta usciti, anziché sperare che tutto torni come prima, dovremmo immaginare come smantellare il sistema che produce queste disuguaglianze e rinunciare all’economia della crescita per intraprendere una nuova filosofia: quella dell’“abbastanza”, che ha permesso ai nostri antenati di vivere dignitosamente.
Questo significa diventare più poveri da un punto di vista materiale, ma più ricchi in termini di comunità e di risorse della natura. E se i governi e le multinazionali non sono interessati a rinunciare all’economia della crescita e ai combustibili fossili, siamo noi consumatori a dover riprogettare il futuro partendo dalle nostre piccole comunità. In sostanza dovremmo essere in grado di creare economie locali; per esempio, ridurre la distanza tra ciò che si produce e ciò che si consuma, abbatterebbe drasticamente le emissioni di CO2, nel rispetto dei lavoratori e dell’ambiente (perché nessuno vorrebbe veder deturpata la terra che abita).
L’esperienza dell’isolamento sociale per sviluppare un altro stile di vita
L’esperienza dell’isolamento sociale, d’altra parte, ci spinge verso una maggiore efficienza nell’organizzare la mobilità: quanti di noi, dovendo prendere l’automobile in futuro, non penseranno a come evitare spostamenti inutili, costruendo un percorso che preveda l’adempimento di più commissioni?
‘Noi fortunati molti’ (parafrasando Elsa Morante) che stiamo sopravvivendo alla pandemia e con il pensiero sempre rivolto a tutte le vittime, abbiamo il dovere, una volta passata l’emergenza, di guardarci intorno e ringraziare di aver ricevuto il dono della vita su un pianeta meraviglioso, prendendo consapevolezza che anche per mano nostra sta venendo distrutto.
La crescita, ci sta dicendo questo tempo di pandemia, si fermerà e potremmo dover affrontare la decrescita non perché abbiamo imparato la lezione, ma perché mancheranno le risorse per garantire questo stile di vita. Un certo approccio alla decrescita, infatti, si sta facendo strada proprio grazie all’isolamento in casa, che ci ha permesso di riscoprire quel saper fare cui la società industriale basata sulla velocità e sull’usa e getta ci ha disabituato. In questo periodo abbiamo coltivato il nostro talento e imparato molte cose nuove, come fare il lievito madre e tagliare i capelli ai bambini, elevando la nostra autostima e accrescendo il senso di soddisfazione.
Rinunciare all’economia della crescita per garantirci un futuro
Secondo gli scienziati del National Center for Climate Restoration australiano tutto quello che è in nostro potere fare per cambiare rotta, dovremmo farlo nei prossimi 10 anni (2020-2030), ovvero prima che le nostre azioni nefaste infliggano alla Terra l’innalzamento della temperatura di oltre 3°C (2,4°C per via dei cambiamenti climatici e 0,6 °C per il carbon feedback, la reazione negativa del pianeta al riscaldamento globale), situazione nella quale ci sono scarse probabilità che l’uomo sopravviva.
Ora che stiamo affrontando la sfida della pandemia, forse saremo più recettivi e più consapevoli di quello che sarà il futuro che stiamo preparando ai nostri figli, sempre che siamo disposti a cambiare da subito i nostri stili di vita.
La storia insegna che quando noi esseri umani siamo sopraffatti dalle sfide più ardue, allora tendiamo spontaneamente a dare il meglio di noi e a trasformarci in una comunità creativa e altruista. Solitamente la nostra società tende a reprimere il senso di comunità. Al contrario, la pandemia, nonostante il distanziamento sociale, ci sta unendo e, se da una parte sta portando morte, dall’altra sta creando un clima di solidarietà, fratellanza, amicizia: risorse che prima non credevamo neppure di avere.
Guardo mio figlio e penso alla strada che bisogna intraprendere come all’unica cosa giusta da fare una volta fuori: pianificare una società alternativa a quella della crescita infinita, per arrivare al 2030 e poter guardare in faccia le nuove generazioni sapendo di aver fatto tutto quello che avremmo potuto fare.
a cura di Ilaria D’Aprile
Ilaria D’Aprile, laureata in Scienze Forestali e Ambientali presso l’Università di Bari e con Master in Educazione Ambientale per la promozione di uno sviluppo sostenibile presso l’Università di Bologna, è presidente di ESSERE TERRA ed esperta in educazione alla sostenibilità. Realizza progetti di formazione per insegnanti e studenti curiosi.
Con edizioni la meridiana ha pubblicato “Abbecedario verde. Salvare la Terra partendo dalla scuola” (2011).