La voce legata a un filo | Dal diario di Herat di Gholam Najafi
Oggi, 12 ottobre 2022, sono arrivato da poche ore a Herat e il sole sta ormai tramontando. Ho appena bevuto del tè bollente e non più quel caffè amaro di ieri. Non sento ancora la stanchezza del lungo viaggio. Questo pomeriggio, sono già stato nel Bazar fra la gente che acquista vestiti caldi perché stanno per arrivare i giorni freddi. Qui a Herat le anziane dicono che il freddo dura poco: solo 40 giorni e non più, come prima, 90 giorni all’anno. Trattengo le loro voci come le sento.
Chi compra il cibo cammina silenziosamente, cerca e ricerca per trovare qualcosa che costi poco, mentre i commercianti urlano, gridano per far arrivare la loro voce a chi cammina fra un negozio e l’altro.
Ecco, avrei voluto tanto scrivere prima del mio arrivo come immaginavo sarebbe stata questa città oggi. È diversa la percezione da altre terre: le voci, i profumi, i costumi, i cambiamenti sono qui, e da vicino è tutt’altra cosa.
Mentre guardo il tramonto di oggi, tra le pieghe del velo delle nuvole, si è insinuata da poco la luna, ancor più timida dal mostrarsi ai nostri occhi.
Non so perché ma questa sera la mente va verso la mia infanzia, forse perché quando andavo con il mio gregge a quest’ora tornavo sempre a casa. La montagna di notte si riempiva di animali feroci e avvicinandomi a casa mi sentivo al sicuro accanto agli altri. In inverno, invece, diventavo uno studente. Non c’è alcuna testimonianza se ero un cattivo o un buono studente, con gli anni ho perso i contatti con i miei compagni di scuola e il maestro.
Racconto di questo passato perché la mia vita, appena mi sposto da un luogo all’altro, diventa il passato, diventa ricordi cari. Pochi giorni fa partivo dall’Italia con tanta angoscia portando con me dei libri, libri che mi dicevano non sono ben visti qui in Afghanistan, e allora strappavo alcune copertine dove erano dipinti teste delle donne senza velo, o copertine con una statua nuda come Madame Bovary. Oggi, al confine fra l’Iran e l’Afghanistan, l’agente delle dogane mi ha perfino chiesto scusa per aver toccato la mia valigia con dentro dei libri. Dunque l’Afghanistan come sempre va studiato diversamente e giudicato come tale.
Entrando in questa terra passando da Islam Qala – chiamato così perché è pieno di piccoli castelli tipici dell’architettura di Herat – potevo godere quasi di una libertà che negli anni scorsi non vedevo intorno a me, sulla mia strada: nel 2021 combattevano fra trincea e trincea. Ho visto tanto sangue, proprio in questi luoghi dove oggi ci sono dei piccoli cimiteri e monumenti per la storia. Ora queste trincee sono in silenzio. Erano stati costruiti dagli italiani e un anno fa questi posti erano pericolosi; oggi, che sono l’unico a sentirmi mezzo italiano, guardo che quei muri sono abbandonati, crollati, e domani si sgretoleranno pian piano, lentamente, sotto la pioggia quando arriverà una nuvola nera da questo cielo. Sento che ci sarà ripresa funebre.
Gholam Najafi
Gholam Najafi è nato in Afghanistan. Ha trascorso l’infanzia lavorando come pastore e contadino. Dopo la morte del padre, all’età di dieci anni, è fuggito dal suo paese d’origine verso il Pakistan, l’Iran, la Turchia, la Grecia e infine l’Europa. Dal 2006 risiede in Italia, a Venezia, con la sua famiglia adottiva. Si è laureato in soli due anni in Lingua, cultura e società dell’Asia e dell’Africa mediterranea e si è specializzato in Lingua, economie e istituzioni dell’Asia e dell’Africa mediterranea all’Università Ca’ Foscari. Attualmente collabora con il progetto “HERA” nel contesto della migrazione, presso l’Università di Padova e si dedica a scrivere racconti e poesie sulla situazione afghana.
Nei suoi libri racconta la sua storia e la sua vita tra due culture e due famiglie. Scopri i libri di Gholam Najafi e sfoglia la sua ultima pubblicazione, Il sorriso di Melograno.
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Foto: Gholam Najafi