Cambiare la scuola per una rinascita culturale del Paese
Se qualcuno dovesse chiedervi a bruciapelo se amate i vostri bambini, senz’ombra di dubbio dichiarereste di sì, aggiungendo magari che sono l’essenza stessa della vostra vita. Peccato che però la serie di interventi predisposti dai padri, dalle madri, dai nonni e zii che lavorano al Ministero dell’Economia e delle Finanze destinati all’Istruzione per i prossimi due anni sottolineino piuttosto un disamore nei confronti dei giovani, alla qual cosa potremmo averci fatto il callo, se non fosse che così facendo stiamo portando il nostro Paese irrimediabilmente al collasso economico, culturale, ecc. Come ci ricorda Hannah Arendt infatti: “L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani”.
Probabilmente non abbiamo ancora imparato la lezione dei tagli apportati da Monti, ovvero che sforbiciando nell’Istruzione per aumentare la spesa pubblica stiamo defraudando i giovani del loro futuro, condannando il Paese ad una ripresa che sembra sempre più lontana.
Un Paese che non investe nell’istruzione
Allora è necessario scriverlo a caratteri cubitali: la crescita di un Paese è vincolata alla crescita culturale della popolazione. Se un Paese non investe nell’istruzione manca di una visione del futuro. Se vogliamo che i finanziamenti di Next Generation EU non si limitino a diventare una lista di centri per l’impiego sparsi in tutto territorio nazionale ma una maniera per offrire speranza ai giovani – perché questo devono fare le azioni politiche, dare speranza – dobbiamo impegnarci tutti per innescare questa trasformazione.
Bisogna legare l’idea che non stiamo soltanto investendo soldi nella scuola, ma che questi finanziamenti sono necessari per avere una visione di lungo periodo per l’intero Paese e avere una visione condivisa che provenga dalle persone. L’unico risarcimento che dobbiamo dare alle nuove generazioni per salvarle da possibile collasso è investire nell’istruzione. Pertanto, come dice Girolamo De Michele, “Mobilitiamoci per una Costituente per la scuola!”
La pandemia: un’opportunità per cambiare la scuola
In questo momento così fluido ed eccezionalmente drammatico, tutti ci siamo accorti che la scuola andava cambiata già molto tempo prima e molti docenti e genitori ci stanno provando da mesi e tra mille difficoltà. Il mio invito è quello di superare le tensioni che la pandemia sta generando tra tutti i soggetti parte della comunità scolastica e farci guidare piuttosto da quanto di bello la scuola sta producendo nonostante tutto.
Penso ai docenti coraggiosi che hanno aperto le porte dell’aula per offrire uno sguardo nuovo sul mondo occupando le piazze, i campi, le spiagge e i boschi che diventano a loro volta i luoghi di apprendimento. Spazi pieni, e non vuoti, di contenuti! Perché anche il più sperduto paesello italiano può rivelarsi una grande opportunità per imparare la storia, la geografia e la letteratura direttamente sul territorio. E in questo momento sappiamo che per la scuola non c’è spazio più sicuro che lo stare all’aperto, godendo del sole, distanziati e con la mascherina per ridurre al minimo il rischio di contagio. Niente di nuovo se si considera che proprio tra la metà dell’Ottocento e il Novecento, col diffondersi di malattie infettive, nascevano in Europa le prime scuole all’aperto, come le “Open air school” nel Regno Unito, le “École de pleinair” in Francia, le “Waldenschule” in Germania, le “Escuelas a l’aire lliure” in area spagnola.
A Bari diciamo dop u’uast ven u’aggiust (dopo il guasto viene l’aggiusto). Immagino che la trasformazione della scuola sia cominciata con la sostituzione dei banchi per continuare fuori dall’aula con l’idea di una scuola diffusa, dove la città stessa e ciò che le sta intorno diventano i luoghi dell’apprendimento, arrivando così a promuovere la diffusione tra docenti ed educatori di un approccio pedagogico che negli ultimi dieci anni sta prendendo piede anche in Italia, l’outdoor education.
Criticità da cui partire per cambiare la scuola
Se dovessimo chiedere ai nostri ragazzi come cambiare la scuola di oggi credo che ci risponderebbero di modificarla completamente, di rivoluzionarla. Vediamo quali sono le criticità della scuola e i motivi per cui necessita di un’attenta trasformazione.
- Quale appeal dovrebbe avere su di un adolescente una didattica che ancora oggi si basa sul trinomio ascoltare-memorizzare-ripetere? Secondo Daniela Lucangeli, “agli studenti viene chiesto di imparare troppo, in poco tempo, senza passione e con l’ansia di doverne rendere conto”[1]. La neuroeducazione ci insegna che in queste circostanze il cervello produce il cortisolo, l’ormone dello stress, e spende energie per generare uno stato d’allerta che, di fatto, inceppa l’apprendimento: lo studente si blocca e non riesce a imparare. Pertanto, quando i docenti fondano la propria autorevolezza sulla paura e senso di colpa, in realtà inibiscono l’apprendimento.
- Prevenzione al disagio minorile. I dati della Commissione Ministeriale sullo stato di benessere e malessere dei preadolescenti italiani a scuola prima della pandemia[2] ci dicono che il 73% di loro supera la soglia di malessere e il 60% sostiene di soffrire da quando ha memoria della scuola: più della metà dei ragazzi attribuisce il proprio malessere al percorso scolastico!
Inoltre l’OMS aggiunge che i nostri figli hanno precocizzazione della depressione. Poiché sono incapaci di comprendere la costanza delle emozioni e di alert, unito alla mancanza di un intervento tempestivo, qualora il malessere si prolunghi nel tempo potrebbe sfociare in depressione. D’altra parte molti docenti, che spesso devono improvvisarsi psicologi e assistenti sociali, lamentano di non avere una formazione adeguata né l’aiuto di reti professionali che agiscano con azioni mirate, soprattutto per affrontare i drammi sociali ed esistenziali che con la pandemia si fanno sempre più diffusi tra i loro alunni. - Bambini agli arresti domiciliari-scolastici. I bambini, già prima della pandemia, trascorrevano circa l’85% del loro tempo rinchiusi tra casa e scuola, perché le città non permettono ai bambini di esprimersi secondo i tempi e i modi propri dell’infanzia. Condizione ben diversa da quella dei loro nonni, che da bambini vivevano prevalentemente in campagna e potevano manifestare la propria naturale vivacità con il gioco libero, indirizzando le energie nell’imitazione degli adulti e affiancandoli nella cura della proprietà e degli animali. Al contrario della campagna, le città non sono fatte a misura di bambino. Questa mancanza di gioco libero all’aria aperta potrebbe portare molti bambini a tenere comportamenti aggressivi e iperattivi e a livelli di attenzione bassi. Ne consegue la diffusione di un “deficit di natura”, come evidenziato da Richard Louv[3], ovvero una progressiva alienazione dalla natura che conduce, tra le altre cose, ad un minore utilizzo dei sensi, ad un maggior tasso di malattie fisiche ed emotive e a disamore nei confronti dell’ambiente.
- Ambiente di apprendimento obsoleto. L’aula è un concetto vecchio di duecento anni, nato con un processo umanistico legato alla rivoluzione industriale e quindi funzionale a formare la futura classe operaia. Se è vero che una delle funzioni principali del nostro cervello è apprendere e che la conoscenza si sviluppa grazie all’interazione degli individui con tutto quello che accade nella vita, per quale motivo ancora riteniamo che sia preferibile parcellizzare il sapere in discipline, stigmatizzarlo in materie principali e materie secondarie, somministrare lezioni frontali a tutti gli alunni nella stessa modalità, lasciandoli per ore chiusi e quasi immobili all’interno di una stanza, ricattandoli con lo spauracchio del voto e attivando in loro il senso di colpa?
Cambiare la scuola partendo dall’outdoor education
Ansia di imparare, malessere, depressione, deficit di natura, scollamento dalla realtà: come scrive Maurizio Parodi[4], “Una scuola così (mal)fatta non ha ragion d’essere”. Quello che sogno è una scuola “sconfinata” che si espanda fuori dall’aula, anche a partire dal cortile: perché come ci ricorda Thoreau, basta anche solo un albero per offrire uno sguardo sul reale diverso e più ricco. Quindi partiamo dall’aiuola più prossima, da quel pezzo di verde sopravvissuto al cemento; partiamo col fare outdoor education nei cortili scolastici per riprenderci quel necessario quotidiano esercizio di riconnessione con la natura e con noi stessi che ci aiuti a crescere nella consapevolezza di essere i custodi della Terra, un sistema complesso e interdipendente.
Eppure per oltrepassare il confine dell’aula è necessario prima imparare a farlo, tutti insieme, cercando quel cammino verso la migliore educazione possibile.
Infatti, uscire fuori non basta: occorre imparare a pensare per costruire relazioni sociali nuove, e mettere in discussione l’idea di spazio e tempo della scuola così come della società. Occorre imparare ad ascoltare i ragazzi e ad apprendere insieme a loro; mettere da parte il nostro ego, il giudizio dispotico, la tirannia del voto e ricordarci che l’educazione è quel processo di costruzione del sapere che fa bene a tutti, perché crea una continua tensione verso “il bello e il buono”. Per tutte queste ragioni sogno una scuola in cui si apprende con gioia, che si prende cura dell’ambiente, aperta al territorio, sicura e inclusiva perché capace di non lasciare indietro nessuno. Se Danilo Dolci diceva “ciascuno cresce solo se sognato”, allora è necessario sognare alla massima potenza per cambiare la scuola e costruirne una grande come il mondo.
a cura di Ilaria D’Aprile
[1] Daniela Lucangeli, Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere, Erickson, Trento 2019.
[2] Commissione istituita dal Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi insieme al MIUR.
[3] Richard Louv, L’ultimo bambino nei boschi, Rizzoli,Milano, 2006.
[4] Maurizio Parodi, articolo Facebook del 22 gennaio 2021.
APPRENDERE CON GIOIA
Outdoor education nei cortili scolastici
di Ilaria D’Aprile
Scopri di più e sfogliane alcune pagine
Guarda anche la serie di video 6 cammini per l’Outdoor Education
Ilaria D’Aprile, laureata in Scienze Forestali e Ambientali presso l’Università di Bari e con Master in Educazione Ambientale per la promozione di uno sviluppo sostenibile presso l’Università di Bologna, è presidente di ESSERE TERRA ed esperta in educazione alla sostenibilità. Realizza progetti di formazione per insegnanti e studenti curiosi.
Con edizioni la meridiana, sui temi dell’educazione ambientale, ha pubblicato anche “Abbecedario verde. Salvare la Terra partendo dalla scuola” (2011).